Giorgio
Triani
Eco chamber (camera dell’eco). Già il nome, benché riferito alla circolazione sui social di notizie e fake, forse segnalava l’inconsapevole desiderio di tornare a “sentire” le cose: di ascoltarle anziché vederle. Quasi una reazione allo strabordante flusso foto-video di YouTube, Instagram, Tik Tok e alla convinzione che "un’immagine vale più di mille parole". Ovviamente nulla è più falso di questa asserzione, a meno che si sia analfabeti. Ma qui si vuole evidenziare come il ritorno alla grande dell’oralità (diffusione di audiolibri, podcast e messaggerie vocali) esprima anche la convinzione (confermata dal successo della radio) che la voce sia più amica, colloquiale appunto, e meno falsificabile delle immagini. Soprattutto ora che le deep fake (le falsità clamorose ma veritiere) stanno diventando, grazie all’Intelligenza artificiale, assai realistiche.
Probabilmente la moda dilagante dello storytelling (raccontare storie) ha giocato nella rivalutazione dell’ascolto. Anche come ricerca di novità, che oggi è esasperata in ogni ambito. Tuttavia il montante successo di Clubhouse, social in cui si usa solo la voce, si parla in diretta e non si possono postare foto, video e frasi a effetto, è in linea con lo straripante narcisismo di massa. Viviamo infatti nella “società delle singolarità”, descritta dal sociologo tedesco Reckwitz, dove ognuno di noi si sente unico e irripetibile. Ossia “fico”. E ora lo è molto entrare in Clubhouse. Perché si deve essere invitati e possessori di IPhone. Qui gioca l’esclusività: altro valore forte. Certo, in un tempo in cui tutti parlano suona bene pensare che stia tornando di moda l’ascolto. Ma è probabile che quel che si dice nelle “stanze” di Clubhouse sia secondario rispetto all’esserci. O meglio al sentirsi qualcuno, che è condizione indispensabile per essere ascoltati. Come dimostra la calata in massa su Clubhouse dei soliti noti