Martedì 23 Aprile 2024

Cominciamo a chiudere certi stadi

Gabriele

Canè

Sono gli stessi che sugli spalti piangono i loro eroi volati in cielo: cuori teneri, sentimenti nobili. Il dodicesimo uomo in campo per tante squadre di calcio, i tifosi che ritmano la partita con i tamburi, a torso nudo anche nelle notti d’inverno. Sono gli ultrà, spesso coccolati dalle società, ingresso semi libero, fumogeni e manganelli. Mica tutti, ovviamente. Una minoranza. Sufficiente però a far chiudere una curva perché per 90 minuti hanno insultato un giocatore di colore. O a bloccare un’autostrada, la A1, aorta della viabilità italiana, nel giorno di rientro dalle vacanze. Com’è successo ieri all’area di servizio Badia, segnata nel 2017 dalla morte del laziale Sandri, colpito dalla pallottola di un poliziotto. Questa volta se le sono date tra napoletani e romanisti, ed è andata bene: un solo ferito lieve. Oddio, tra le migliaia di automobilisti rimasti bloccati perché questi dementi si picchiavano, c’è forse chi ha sperato in qualche testa rotta in più; niente di grave, intendiamoci, ma un bel letto di ospedale a meditare qualche giorno sulla opportunità di rifare una bravata simile. Comprensibile. Detto questo, si torna inevitabilmente a ragionare di tifo e ordine pubblico. Ogni domenica migliaia di uomini in divisa lavorano sottopagati per dividere esagitati, prendersi insulti, sputi, botte. E magari non basta. Alla fine tiriamo un sospiro di sollievo se è andato a fuoco solo qualche cassonetto, mentre straparliamo di stadi per le famiglie. Come ogni volta evochiamo il modello inglese. Ma nei loro stadi ci sono celle dove si finisce solo per un urlo di troppo. A Badia c’erano le forze dell’ordine, e certamente sono servite a contenere i danni. Ma gli italiani che sono arrivati a casa ore dopo, chi li rimborsa? E i colpevoli? Se la caveranno con un buffetto? Non è certo colpa delle società, ma se incominciamo a chiudere gli stadi del tifo violento, ovunque si manifesti, qualcosa forse succede. Scommettiamo?