"Mi fa rabbia questa morte. Mi fa rabbia sapere che qualcuno possa avere ucciso una così bella persona, un’anziana indifesa, per 50 euro. Quando la vedevo all’ingresso del condominio mi avvicinavo e le dicevo ‘Sono Enzo, il barbiere’, per farmi riconoscere. Le toccavo la mano per rincuorarla e le portavo il carrellino della spesa davanti all’ascensore, convinto che sarebbe entrata nella cabina per poi salire in casa. Invece ho scoperto in questi giorni che aveva paura di prendere l’ascensore: affrontava a piedi 20 gradini e non mi ha mai detto nulla. Era così la signora Fernanda: voleva essere autonoma nonostante non ci vedesse quasi più. Non voleva essere un peso per gli altri, nonostante la sua fragilità". Enzo Palermo, barbiere, è stato il primo ad aprire la porta dell’appartamento in via Ponte Seveso 26, a due passi dalla stazione Centrale di Milano, venerdì pomeriggio, mentre divampava un incendio. La 90enne, una sarta in pensione, è stata uccisa con un colpo di ferro da stiro in testa dopo una rapina. E il rogo è stato appiccato nel tentativo di cancellare le tracce dai due presunti rapinatori killer, fermati il giorno dopo dalla polizia: due sudamericani con precedenti di polizia, un peruviano di 44 anni e un ecuadoriano di 22.
Da quanto conosceva Fernanda?
"Trent’anni. Fino a qualche anno fa abitava in via Ponte Seveso 31 insieme alla sorella, al marito di lei e al loro figlio. E io ho vissuto per tanti anni con la mia famiglia al piano di sopra. Poi imi sono trasferito, ma ho continuato a lavorare in via Ponte Seveso 26, palazzina in cui la signora Fernanda viveva".
È stata uccisa per pochi euro.
"Aveva 90 anni e stava male, non c’era bisogno di ucciderla per rapinarla. Se – come si dice – il peruviano la conosceva, doveva sapere che era praticamente cieca. Ho visto la signora quando è stata portata nell’atrio per rianimarla: il volto era tumefatto, non riesco a dimenticarlo. È morta tra le sofferenze".
Cosa è successo quel giorno?
"Mi sono accorto del fumo dal primo piano. Ero con un cliente, sono corso nell’atrio. Il portoncino della scala era chiuso ma sono riuscito a farlo aprire, a quel punto sono salito e ho iniziato a dare dei colpi alla porta. Era chiusa ma non a chiave: ruotando la maniglia, sono riuscito ad aprirla. Ho visto solo fumo, nel frattempo ho sentito i pompieri che salivano e mi sono spostato. Mi sono pentito di non essere entrato: anche un minuto, forse, avrebbe potuto fare la differenza".