Giovedì 25 Aprile 2024

Come in America Ma gli stipendi sono italiani...

Guido

Bandera

Un garage, quindici metri quadrati in zona semicentrale dove parcheggiare un’utilitaria non troppo grande, a Milano costa come un appartamento decente in una qualunque città di provincia. Scartata l’ipotesi di accamparsi in una rimessa, il prezzo medio da sborsare per una casa è di 21 euro al mese al metro quadrato. Cinquanta metri, mille euro. A cui aggiungere spese condominiali, bollette e supermercato. Non sarebbe troppo in senso assoluto, se gli stipendi fossero anche solo vagamente in linea con i prezzi richiesti per vivere. Con 1.165 euro mensili netti, più tredicesima, per svolgere un lavoro ordinario e dignitoso come quello di una bidella (o con i 1.500 di un addetto al trasporto pubblico) semplicemente non si campa. O meglio, non si campa qui. Stipendi fermi, se non in calo rispetto a dieci anni fa, e inflazione al 12% sono un problema in tutta Italia. Ma se in provincia si sopravvive, con mille attenzioni, in una Milano che ormai insegue un modello newyorkese è un’impresa persa in partenza. Con una dinamica di costi così alta, la grande capitale morale è sempre più la mecca del lavoro, ma sempre meno luogo dove traslocare.

A meno di godere di redditi sostanziosi. Un problema che supera la dimensione della lagnanza salariale e rasenta l’allarme demografico. Nella città dei grattacieli e degli headquarter (chiamarle sedi aziendali pare brutto), il grande immobiliare è un settore trainante, che si muove su ritmi londinesi o americani e poco si cura della vita quotidiana del popolo di oscuri impiegati di cui brulica. E mentre aumentano le tariffe, c’è poco da stupirsi, dunque, se anche giovani docenti e impiegati pubblici disertano il Nord, un tempo meta privilegiata per qualunque concorso, rinunciando all’ipotesi di un futuro trasferimento a casa con l’agognato posto fisso: i conti non tornano comunque.