Colori delle regioni, l'ingegnere elettronico: "L’algoritmo? I conti non tornano"

L’ingegnere elettronico Federico Fuga: "È poco trasparente e lascia margini di manovra troppo ampi. Ancora oggi molto dati non vengono pubblicati"

Un locale chiuso per le restrizioni Covid (Ansa)

Un locale chiuso per le restrizioni Covid (Ansa)

"L’algoritmo che definisce i colori delle regioni, e quindi le nostre libertà, è poco trasparente e fin troppo discrezionale". Per Federico Fuga, ingegnere elettronico e coordinatore della commissione Ict dell’Ordine degli ingegneri della provincia di Verona, il processo che il nostro governo definisce "oggettivo" in realtà non lo è affatto.

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Quindi non ci possiamo fidare?

"Lo chiamano algoritmo per dargli un certo tono scientifico. Il decreto con cui si identificano i 21 indicatori (tra cui il famoso Rt o il numero di pazienti in rianimazione sui posti letto disponibili, ndr) è chiaro e funziona. Purtroppo non si capisce come avvenga l’integrazione con il livello di rischio, che viene definito attraverso una serie di domande a cui si risponde sì o no e che sono poco oggettive".

In che senso?

"Ci sono quesiti come ‘La situazione sanitaria è sotto controllo?’ o ‘Il numero di tamponi è adeguato?’. Il risultato può variare a seconda di chi risponde".

E dopo cosa succede?

"Il tutto viene integrato, ma nessuno sa come, dalla cabina di regia, che in qualche modo giustifica così la propria esistenza. Quando si prendono decisioni che vanno a limitare le libertà delle persone servirebbe più chiarezza e ci vorrebbero basi scientifiche molto forti".

Quindi alla fine quella dei colori è una decisione più politica che aritmetica?

"Non è possibile dire quanto sia il margine di discrezionalità, ma che ci sia una certa libertà nel prendere queste decisioni è evidente, tanto che si parla per settimane se una regione possa diventare rossa o arancione".

Il risultato finale è manipolabile?

"Non penso che si possa stravolgere, ma nelle situazioni al limite si può decidere per applicare più o meno restrizioni. E in questo caso possono diventare decisive le pressioni a livello politico o economico. Questo spiegherebbe il perché a novembre, con numeri simili, la Lombardia sia finita in zona rossa e la Campania in quella gialla".

Il metodo attuale presta il fianco sia a chi invoca più rigore sia a chi vorrebbe allentare le restrizioni. Perché non viene pubblicata una classifica stilata su un indice?

"Sarebbe un’ottima idea. Anche rendere noti tutti i dati in forma disaggregata sarebbe stato un bellissimo passo avanti nel nome della trasparenza, perché quando le cose non sono chiare o vengono comunicate male, come è successo per Immuni, si finisce per aggiungere elementi anche del tutto immotivati alla discussione. Così non si aiutano le persone a digerire una situazione tremenda come quella che stiamo vivendo".

Cosa ci impedisce di fare questo scatto?

"Durante la pandemia c’è stato un forte processo di digitalizzazione. Le informazioni che arrivano dalle istituzioni dovrebbero adeguarsi, ma la nostra classe dirigente non avuto la prontezza o la sufficiente cultura digitale per capire il momento".

E quali sono i risvolti?

"Non pubblicare i dati impedisce a commentatori, professionisti e istituti di ricerca di sfruttare delle risorse enormi per aumentare la consapevolezza della situazione".