Sabato 20 Aprile 2024

Colle, Salvini prova a fare il regista Gli altri leader lo stoppano: è presto

Il capo della Lega telefona a tutti, Letta e Conte ribattono: "Prima si approva la Manovra". E lui si adegua

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di Antonella Coppari

ROMA

Un king maker per il Quirinale. Ci prova Salvini, cerca di prendere in mano la delicata partita, giocando d’anticipo su Letta e Conte. Chiama i leader di tutti i partiti o quasi, ha un faccia a faccia di un’ora con il governatore ligure Toti, insomma ce la mette tutta per aprire subito un tavolo attorno al quale discutere del nuovo inquilino del Colle: ci confrontiamo prima fra alleati – il ragionamento – poi con tutti gli altri. Una mossa necessaria per riaffermare la sua leadership nel centrodestra, dove deve fare i conti con un Cavaliere pronto alla corsa (non casualmente la prima telefonata è per lui), e una Meloni che cerca spazio. Ma il tentativo viene subito bloccato: "Prima bisogna approvare la manovra", il ritornello degli interlocutori. Ha voglia il leader leghista di spiegare che sì, naturalmente lui "consapevole della forza numerica, vuole valorizzare il ruolo della sua coalizione e del Carroccio", ma il suo obiettivo è quello anche di pacificare un Paese "stressato dalla pandemia". Nessuno ha intenzione di dargli un vantaggio. Quanto meno, non ora.

Una falsa partenza, dunque, che dimostra come la questione sia aggrovigliata. Draghi o non Draghi, questo è il problema che attanaglia i leader. Se avessero la garanzia che con il premier al posto di Mattarella il governo comunque andrebbe avanti – ammettono al Nazareno – non ci sarebbe storia. "Sarebbe l’ex governatore Bce il candidato di tutti, qualche dubbio forse da Salvini". Pur di evitare le urne, voci dal centro uscite sostengono che il Matteo milanese sarebbe pronto pure a buttarsi su figure come Amato, Cartabia e Casini.

D’altra parte è proprio il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, che dà voce a timori comuni nel Palazzo: "Se per paura delle elezioni si punta su un altro nome, c’è il rischio che Draghi si dimetta lo stesso a gennaio, e noi ci troviamo così con un Capo dello Stato che non ci soddisfa in pieno e con un premier sbiadito a Palazzo Chigi". Malgrado si siano battuti per la proroga dello stato d’emergenza (come oramai pare quasi certo), nel Pd assicurano che il fatto non ha nulla a che fare con la partita del Quirinale: "Confermare gli strumenti straordinari per un altro trimestre serve a stabilizzare la situazione". In questo quadro mosso, il Cavaliere scalpita. Chi lo conosce bene, sostiene che l’unico piano B a una sua possibile candidatura sia proprio il nome di Draghi, che lui vorrebbe restasse premier fino al 2023. Sulla carta al capo di Forza Italia mancherebbero pochi voti, che non dispera di recuperare tra gli ex grillini. Sul piatto, pone la promessa di seggi sicuri, convinto di arrivare così alla meta. Ovvero di avere la maggioranza assoluta dei grandi elettori alla quarta votazione. Vero? Falso? Più di una perplessità circola tra gli alleati se lo stesso Salvini, ieri, parlando con un leader del centrodestra ha buttato lì: "Prima di tutto, bisogna capire se Silvio ha i voti oppure no". Dilemma che fa dormire sonni agitati anche a sinistra.

Insomma, il quadro resta molto intricato. Se non ha intorbidato le acque, la mossa dell’ex ministro dell’interno non le ha rese più limpide. Di sicuro ha indispettito gli avversari, visto che tanto Letta quanto Conte non gliene hanno mandato a dire: "La priorità è approvare la legge di bilancio". Lui, che prontamente si è adeguato, ha infastidito anche "gli amici": un colpo nel vuoto. Il rischio di procedere al buio e sbattere contro questo o quello scoglio rimane. Ecco perché, per quanto Mattarella abbia escluso un suo bis, nessuno ora mette la mano sul fuoco che alla fine lì non si torni.