Quirinale, i primi dubbi di Berlusconi. "Senza numeri certi non corro"

Vertice nella residenza romana del Cavaliere, i big del centrodestra lo mettono alle strette. Formalmente la candidatura viene ufficializzata, ma si dà una settimana al leader per portare nomi sicuri

Silvio Berlusconi (Ansa)

Leader of Forza Italia party Silvio Berlusconi, arrives to address the media after a meeting with Italian President Sergio Mattarella at the Quirinale Palace for the second round of formal political consultations following the resignation of Prime Minister Giuseppe Conte, in Rome, Italy, 22 August 2019.

Può sembrare un paradosso. Il giorno in cui il Cavaliere ottiene dagli alleati il sospirato via libera alla sua candidatura, è anche il giorno in cui inizia a venire fuori qualche crepa nella sua granitica convinzione di correre per il Colle. "Sono il primo a fare un passo indietro se voi non siete convinti. Io, se non ci sono i numeri, non mi vado a sfracellare", chiarisce nel vertice del centrodestra. Un punto però lo segna: voleva un gesto di lealtà da Salvini e Meloni (oltre che dai centristi) e l’ottiene: "I leader della coalizione hanno convenuto che Berlusconi sia la figura adatta a ricoprire l’Alta carica con l’autorevolezza e l’esperienza che il Paese merita e gli italiani attendono. Gli chiedono pertanto di sciogliere in senso favorevole la riserva fin qui mantenuta". Un po’ è gioco delle parti: ha deciso da solo ma deve apparire incoronato dagli alleati. Un po’ serve a posticipare il momento della verità.

I voti al momento non ci sono: è la nota dolente, il nuvolone che grava sul gioioso pranzo apparecchiato dall’ex premier a Villa Grande con i vertici della coalizione. Gianni Letta – reduce da una visita a Palazzo Chigi dove non ha visto Draghi ma il suo capo di gabinetto – insiste: "Sei proprio sicuro? Verifica le cifre". Salvini sfodera i numeri con cui sono stati eletti gli ultimi presidenti, da Scalfaro a Mattarella. Secondo uno dei tanti report confezionati ad Arcore, Silvio potrebbe contare su 493 voti, di cui 13 incerti. Pochi, anche perché non tengono conto dei franchi tiratori: "Ne servono altri 60-70 almeno", sottolinea La Russa (Fd’I). Al comitato permanente dei capigruppo di centrodestra il compito di fare il fixing per tirare le somme giovedì prossimo. Su un punto i leder sono tassativi: "Silvio, se non passi, la prossima mossa non la decidi tu, la decidiamo insieme".

È preoccupazione diffusa che, seppur sconfitto, possa assumere il ruolo di king maker e imporre un nome sgradito agli alleati come quello di Giuliano Amato.

Per la scelta finale bisogna attendere la prossima settimana. Se i numeri autorizzeranno l’azzardo, il Cavaliere porterà la sfida alle estreme conseguenze, ma se dovesse perdere l’intera destra avrebbe sparato a vuoto la sua cartuccia. Quasi automaticamente si configurerebbe una ’soluzione unitaria’ che difficilmente potrebbe non portare a Draghi. Non a caso, nella cerchia ristretta del premier considerano la battaglia di Berlusconi un probabile viatico per il Colle. Se Silvio deciderà di "non sfracellarsi" per il centrodestra si porrà il problema di mettere a punto un piano B. Non potrebbe trattarsi di un esponente di area di secondo piano, ma di figure di primo piano la destra ne conta poche: Gianni Letta? "Quasi un affronto per il Cavaliere", sostiene un ex ministro centrista. Per questo, c’è chi scommette che il piano B finirebbe per ridursi alla soluzione unitaria. La situazione potrebbe complicarsi se il centrosinistra disertasse il voto con Berlusconi in campo: non tutti sono d’accordo con Enrico Letta (gli ex renziani gli hanno detto che intendono votare) ma, di fronte a un Aventino Pd, Silvio chiederebbe probabilmente di restare in campo per numerose votazioni e, dopo un simile sgarbo, la soluzione unitaria si allontanerebbe. È storia di domani, ed è storia di dopodomani la portata che mette sul tavolo Giorgia Meloni: un pronunciamento a favore del sistema maggioritario. Brugnaro nega la firma, sostenendo di non aver mandato dai suoi. Per gli altri la linea è comune: impegno "a non modificare la legge elettorale in senso proporzionale".

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