Mercoledì 24 Aprile 2024

Mafia, blitz contro il clan Farinella. Undici fermi nel Palermitano

Colpiti i vertici del mandamento di San Mauro Castelverde. Nemmeno il carcere aveva fermato i boss che imponevano il pizzo agli imprenditori

Una macchina dei Carabinieri (foto d'archivio)

Una macchina dei Carabinieri (foto d'archivio)

Palermo, 30 giugno 2020 - Colpo al mandamento mafioso di San Mauro Castelverde, regno incontrastato della famiglia Farinella. I carabineri del Comando provinciale di Palermo hanno fermato undici persone tra vecchi e nuovi capi e gregari della cosca. Proprio come sette giorni fa con l'operazione contro i vertici del clan di San Lorenzo a Palermo, il capomafia aveva continuato a comandare anche dal carcere e una volta tornato libero all'inizio di quest'anno ha ripreso le redini del mandamento. Le indagini hanno infatti evidenziato come nonostante l'organizzazione avesse continuato a operare nonostante l'arresto del boss Domenico Farinella, tornato in libertà solo nel 2020 dopo una lunga detenzione a Voghera in regime di sicurezza (il padre Giuseppe era morto in cella nel 2017).

"In questo quadro si inseriscono le numerosissime estorsioni ai danni dei commercianti locali documentate dai militari dell'Arma, così come l'organizzazione di una efficientissima rete di comunicazione necessaria agli storici capi mafia detenuti per mantenere il comando degli associati liberi e continuare a strangolare imprese e società civile", spiegano gli investigatori. Dalle indagine emerge anche il ruolo ricoperto da Giuseppe Farinella, figlio di Domenico, che ha gestito le sorti del mandamento tra le province di Palermo e Messina. 

Pizzo e sagre

"I tentacoli del mandamento si erano allungati anche sull'organizzazione dell'Oktoberfest del 2018 a Finale di Pollina, quando, per impedire la partecipazione alla sagra di un commerciante che non si era piegato alle imposizioni del clan, gli indagati non avevano esitato a devastargli lo stand", ricordano i carabinieri. Alle vittime era anche imposto di acquistare forniture di carne da una macelleria, gestita da Giuseppe Scialabba, braccio destro di Giuseppe Farinella. Preziose, in questo senso, sono state le testimonianze delle vittime che, ribellandosi al sistema criminale, hanno trovato il coraggio di denunciare di iniziativa e di collaborare con i carabinieri.

Controllo capillare del territorio

La capillare e asfissiante influenza dell'organizzazione mafiosa sul tessuto economico non soltanto attraverso l'imposizione del pizzo, ma anche attraverso la 'sensaleria' negli affari dei privati e per mezzo della gestione diretta di attività di impresa che, fittiziamente intestate a soggetti incensurati, erano nei fatti amministrate dagli indagati. Allo scopo di eludere eventuali misure cautelari, infatti, Giuseppe Farinella ed Giuseppe Scialabba avevano fatto risultare terze persone quali titolari rispettivamente di un centro scommesse di Palermo e una sanitaria di Finale di Pollina, sottoposti a sequestro, del valore di un milione di euro.

"Come a Corleone, qua nessuno si pente"

I capi del clan poi erano sicuri dell'affidabilità degli uomini del clan, come emerge dalle intercettazioni. "Perché sono i numeri uno. Come loro come tutti quelli che ci sono stati. Compreso mio padre. Qua nessuno si pente compa', San Mauro numero uno, perché mi voglio vantare, San Mauro è Corleone", dicevano senza sapere di essere intercettati. I carabinieri hanno ascoltato "in diretta" le estorsioni messe in atto dal clan. "Ci vai incazzato, tanto io sono qua non ti preoccupare. Ci servono subito (i soldi, ndr) tanto li ha trovati, ci servono tutti". Ed ancora: "Solo per l'amico, l'amico sono io, ci sono 20mila euro per l'amico. Noi altri ci siamo messi a disposizione. Lui ancora deve dare 5 mila euro. Qua dobbiamo ragionare da uomini. È da 30 anni che noi altri siamo con tuo nonno, con tuo zio siamo fianco a fianco". E se qualcuno si ribellava il sistema per fargli cambiare idea c'era. "Gli ho dato una testata, così gli ho spaccato il naso - dicevano gli uomini del clan intercettati -. Lui non ha detto niente a nessuno. Tu non l'hai vista la testata?". "L'ho vista, l'ho vista, io tutte cose ho visto e tutte cose vedo io", risponde un altro. 

Le accuse

Le persone fermate sono accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, trasferimento fraudolento di beni, corruzione, atti persecutori, furto aggravato e danneggiamento in Sicilia, Lombardia e Veneto.