Città modello Una classifica senz’anima

Viviana

Ponchia

Gli americani lo sanno. Ogni film horror che si rispetti si apre su uno scorcio luminoso e tranquillo: villette a schiera, bambini in bicicletta e vicini gentili. Nel giro di dieci minuti arriva il primo morto, ai titoli di coda si è compiuta la strage. Il clichè non è dichiarato ma riflette quello che, sotto sotto, nessuna graduatoria sulla qualità della vita nelle città potrà mai confessare: essere i primi della classe non mette al riparo dalle case infestate o dai personali fantasmi risvegliati da un eccesso di appagamento. A Pordenone si sta benissimo. E così a Trento. Aria buona, traffico scorrevole, opportunità e bisogni soddisfatti. Bologna è sul podio per affari e lavoro. Milano resta la più ricca. E poi? La metafora horror spiega per eccesso che i motivi per vivere bene non sono ovvi e uguali per tutti. Ricordate la pubblicità del rum più bevuto nei peggiori bar di Caracas? Era una forma di marketing deplorevole ma senza volerlo spezzava una lancia a favore della capitale del Venezuela, la più violenta e pericolosa al mondo: sembra strano ma qualcuno sarebbe più felice lì che in piazza a Trento a sorseggiare spritz. C’è chi pretende la sicurezza e le buone scuole di Pordenone e chi farebbe carte false per trasferirsi subito a Detroit, la città americana con la peggiore reputazione, o addirittura nella rumena Ramnicu Valcea, domicilio del gotha dei pirati informatici. Questo per dire che Foggia, in fondo alla classifica, può tirare un sospiro di sollievo.