Martedì 23 Aprile 2024

Aule, uffici e monopattini: le città dopo il Coronavirus

Il direttore del Senseable City Lab del Mit di Boston, Carlo Ratti, e l’urbanistica del futuro. "La vera sfida è per le università: o cambiano o spariranno"

In giro con monopattini e bici (ImagoE)

In giro con monopattini e bici (ImagoE)

Boston, 25 maggio 2020 -  Una piccola sequenza di proteine e amminoacidi ha dichiarato guerra al genere umano costringendoci a un lungo lockdown. Un’emergenza non solo sanitaria, ma anche e soprattutto economica. I paradigmi si sono rovesciati all’improvviso. E’ cambiato il modo di lavorare, abbiamo scoperto il distanziamento sociale. E ciò che prima era la normalità, oggi è una riconquista. Ma davvero il Coronavirus cambierà per sempre il nostro modo di essere, le nostre economie, le nostre città? E come? Per scoprirlo siamo andati là dove si progetta il futuro, all’interno del Senseable City Lab del Massachusetts Institute of Technology (Mit) di Boston. Il suo direttore è Carlo Ratti, 49 anni, piemontese di origine e americano d’adozione, anche se, sino a prima della pandemia, era un globetrotter.

Professore, come saranno le città post Covid-19? "Credo che saranno abbastanza simili a quelle pre-Covid-19. Dalla loro nascita circa 10,000 anni fa le nostre città ne hanno viste di tutti colori – tra cui epidemie più devastanti di quella odierna – e si sono sempre riprese. In altri termini sono resilienti: si lasciano abitare in modo diverso senza modificare sostanzialmente la loro struttura. Si tratta di adeguare il software per preservare l’hardware".

Carlo Ratti
Carlo Ratti

Come dovranno essere ridisegnati i marciapiedi? "Nel breve periodo vedremo possibili alternative ai mezzi di trasporto pubblico, oggi percepiti come un pericolo. Questo può essere un’opportunità per scoprire una mobilità agile, come le biciclette o i monopattini, così da coniugare l’istanza sanitaria con quella ecologica. In tal caso strade e marciapiedi dovrebbero essere riprogrammati, con ciclabili e spazi di parcheggio leggero. Potremmo pensare anche a strade riconfigurabili in modo dinamico, come abbiamo fatto di recente per un progetto a Lugano. Immaginiamo una strada che possa cambiare la sua funzione in base alla domanda, ospitando mezzi pubblici, biciclette, monopattini o pedoni in modo flessibile durante il giorno".

E gli uffici? "Indubbiamente negli ultimi mesi si è compiuta una rapida transizione verso lo smart working, rendendo il nostro lavoro più flessibile. Anche in questo caso, si tratta di dinamiche che erano già in atto, ma che hanno subito un’accelerazione. Eppure, a differenza di Jack Dorsey di Twitter, non credo che l’ufficio smetterà di esistere. La parte più stimolante del nostro lavoro è il confronto con le idee degli altri, che avviene spesso in modo informale. Per questo non bastano Skype o Zoom, piattaforme per conversazioni codificate: serve un luogo fisico".

Con lo smart working cambierà il nostro modo di spostarci. Dovremo rivedere metropolitane e piste ciclabili? "Dobbiamo distinguere il breve dal lungo termine, Nei prossimi mesi, fino a quando non avremo trovato un vaccino o raggiunto l’immunità di gruppo, dovremo arrangiarci. Già oggi i mezzi pubblici sono pressoché vuoti. Ma nel lungo periodo potremo tornare ad affollare le nostre metropolitane: credo che fra qualche anno il Covid-19 non ci spaventerà più di quanto faccia la peste bubbonica di cui leggiamo ne I Promessi Sposi".

Questo ci porterà a riscoprire i borghi? "A metà del Trecento, la peste falcidiò il 60 per cento della popolazione di Venezia. Non per questo nei secoli successivi abbiamo rinunciato a vivere nelle sue bellissime calli o ad affollare i suoi teatri. Credo che sia troppo presto per decretare la fine della città. Tuttavia la maggior flessibilità nel modo di lavorare, che abbiamo acquisito in questi mesi e che non credo ci abbandonerà facilmente, ci permetterà di passare più tempo fuori porta. Magari in campagna dal giovedì al lunedì successivo – proprio in un borgo".

E le scuole come dovranno essere riprogettate? "Negli ultimi mesi in molti si sono sorpresi di come fosse possibile portare le lezioni frontali in rete, via Zoom o pre-registrate. Ciò consente di alleggerire l’impegno dei docenti e di sostituire le aule con laboratori, in cui mettere in pratica quanto appreso a lezione. Diceva Plutarco, in tempi non sospetti, che ‘i giovani non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere’. Ecco la fiaccola si accende con l’interazione, non con la ripetizione delle slide dell’anno precedente davanti a una platea passiva".

Anche le Università dovranno cambiare? Come? "Credo che gli studenti saranno i catalizzatori del cambiamento. In molti paesi del mondo stanno intentando delle delle class action. Il messaggio è chiaro: perché pagare migliaia di dollari – negli Stati Uniti fino a 50,000 ogni anno – per sentire online la lezione del mio professore quando online sono disponibili corsi migliori a costi decisamente ridotti? E’ un dibattito che può spostarsi dal terreno di conflitto e diventare una proposta per una nuova stagione dell’Università, più aperta, flessibile e al passo con i bisogni degli studenti. Un’università in cui lo spazio fisico serva non tanto per trasmettere nozioni, ma per forgiare interazioni. D’altronde pensiamo che negli ultimi decenni la rivoluzione digitale ha travolto moltissimi mondi, a partire da quello dei media che si occupa della produzione e trasmissione di notizie. Non sarà venuto il momento di ripensare l’università, che continua a ispirarsi al modello di Bologna che risale all’anno mille?".

Insomma siamo in presenza di una terza rivoluzione urbanistica? "Più che rivoluzione parlerei di evoluzione, che accelera cambiamenti in corso. In questo senso abbiamo grandi opportunità. Mi viene in mente quello che disse una decina d’anni fa Rahm Emanuel, ex braccio destro di Barak Obama ed ex-sindaco di Chicago: ‘Mai sprecare una crisi’. Usiamo questi mesi".

Ci sarà spazio per la bellezza? "La bellezza salverà il mondo".