Cinque stelle nel caos Conte offre l’appoggio esterno Ma altri 30 stanno per uscire

Il capo politico cerca una mediazione interna, rilancia la palla nel campo di Draghi ma viene contestato. Due ministri, D’Incà e Dadone, pronti a votare comunque la fiducia. Sulle barricate anche numerosi big

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"Il nostro no non era alla fiducia, ma una reazione alle umiliazioni subite" dice il presidente del M5s, Giuseppe Conte, in diretta streaming, aprendo, alle 20.30 di ieri sera l’assemblea congiunta dei suoi parlamentari, aggiornata nuovamente a oggi. Per poi sentenziare: "Senza risposte chiare e se non ci verrà garantito rispetto, il M5s non potrà condividere la responsabilità diretta di governo". In altre parole: il M5s passerà all’opposizione, o all’appoggio esterno.

L’ennesima offerta, l’ultimo disperato rilancio, non è solo il tentativo di ributtare sulle spalle del premier la responsabilità della crisi di governo, ma è pure il frutto di una disperata mediazione a uso interno dei grillini. Per dire, i famosi nove punti si sono già ridotti a cinque: difesa secca del Reddito di cittadinanza, conferma del Superbonus, salario minimo (ma quello "legale"), piano di aiuti a famiglie e imprese, no a nuovi termovalorizzatori e trivelle. Draghi su questi punti deve dare, secondo Conte, "risposte chiare, precise, non pure dichiarazioni". Altrimenti, è la conseguenza, "il M5s non potrà condividere una responsabilità diretta di governo: ci sentiremo liberi, sereni, di votar ciò che serve". Un’offerta che allo stato molti fuori dai 5 Stelle ritengono e riterranno irricevibile. Difficile, se non impossibile, il premier l’accetti.

D’altro canto, da parte di Conte non c’è stato il ventilato ritiro della delegazione ministeriale e un "no" al voto di fiducia (sempre che mercoledì ci sia). Ieri il presidente M5s ne ha parlato più volte nel Consiglio nazionale, tutto schierato con i falchi, e ha poi dovuto affrontare il novo fronte interno che si è aperto, quello di un supplemento di scissione. Dopo la defezione di alcune decine di parlamentari andati con Di Maio (che oggi conta ben 64 parlamentari), almeno altri trenta deputati, guidati dal capogruppo Crippa, e 4-5 senatori sono pronti infatti ad andarsene a loro volta in Ipf.

Il gruppo di Di Maio, in questo modo, arriverebbe a oltre cento parlamentari e ai 5 Stelle (oggi in 166) ne resterebbero circa 120. Un salasso inaccettabile, e che potrebbe non finire: due ministri su tre, D’Incà e Dadone (non Patuanelli), oltre a Crippa, i suoi 30 deputati, ma anche big come Fraccaro, Bonafede, Dieni, minacciano di andarsene in caso di sfiducia al governo. Non è ancora detto che non la facciano comunque, prima di mercoledì, la scissione, ma in ogni caso loro, se si voterà, daranno la fiducia. Le contestazioni alla linea del capo politico, ieri sera nel corso delle riunioni interne, sono state molto veementi. Acque sempre più agitate, e dire che non sono mai state calme. Tanto che il capo politico ha fatto sconvocare la assemblea dei soli deputati, quasi tutte colombe. Alla fine, comunque, in assemblea si sarebbe contata solo una decina – su trenta – di interventi (tutti da deputati) contrari alla linea scelta dal partito.

Conte rimanda quindi la palla nel campo di Draghi, aspetta dal premier alcune risposte, convinto che in un modo o in un altro che si andrà a votare a settembre, che nascerà un Draghi bis senza i 5 Stelle, che il M5s si rigenererà all’opposizione, risalendo nei consensi (quelli riservati parlano dell’8%, Conte punta al 12%) e che, eliminate le tossine, quando si voterà, non prima del 2023, il Pd rifarà l’alleanza "perché senza di noi perde le elezioni". Un mondo meraviglioso in cui vive solo Conte.

Ettore Maria Colombo