Cinque stelle a un bivio La base chiede lo strappo Governisti in trincea

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di Elena G. Polidori

ROMA

Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, è tra quelli che di uscire dalla maggioranza non ne vuole sentir parlare. Con lui, ovviamente, anche gli altri che siedono al governo, come Fabiana Dadone, la viceministra Alessandra Todde, il siciliano Cancelleri, l’ex ministro Stefano Buffagli oppure il capogruppo alla Camera, Davide Crippa, ma anche il giovane deputato toscano Francesco Berti che l’altro giorno, alla Camera, la metteva giù così: "La stabilità del Paese non può essere barattata per qualche punto percentuale nei sondaggi". A spanne, anche ieri il pallottoliere di Palazzo Madama dava nell’ordine dei 10 i barricaderos grillini pronti a girare i tacchi e uscire dall’Aula al momento del voto di fiducia sul decreto Aiuti, previsto per domani, ma non è detto che il numero sia anche superiore.

Tutto, comunque, si consumerà questa mattina: Giuseppe Conte ha convocato un Consiglio nazionale straordinario proprio per decidere la linea da tenere. Perché ieri, a tarda sera, i 5 stelle ancora non avevano spiegato con chiarezza che strada prenderanno. E quel che in queste ore appare certo, però, è che comunque vada il gruppo non sarà compatto. Se si opterà per il sì alla fiducia – al Senato non è possibile scorporare la fiducia dal voto sul provvedimento, come è invece è avvenuto alla Camera – ci sarà un gruppo di senatori che non la voterà, quello più numeroso, che Conte deve riuscire in tutte le maniere a contenere. Perché il dramma vero che si sta consumando in queste ore è che l’Avvocato del popolo di fatto non controlla il suo partito. "Se anche domani (oggi per chi legge, ndr) si dovesse decidere di dare la fiducia al governo – spiegava ieri un senatore grillino di lungo corso – ci sarà comunque chi strapperà e poi uscirà dal Movimento".

Insomma, la galassia grillina è quanto mai divisa in queste ore.