Venerdì 19 Aprile 2024

Chinino contro la malaria La cura che convinse l’Italia

Tra Ottocento e Novecento la malattia imperversava nelle zone paludose. La popolazione era scettica, ma le campagne di informazione furono decisive

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di Antonio Patuelli

La distribuzione dei vaccini anti Covid sempre più semplice, anche senza prenotazione, perfino nei luoghi di vacanza, è il metodo finora più efficace per combattere la mutevole pandemia che è stata paragonata soprattutto alla terribile ‘spagnola’ proprio di un secolo fa. Per la verità, a fine Ottocento e nella prima metà del Novecento, l’Italia dovette combattere costantemente pure un’altra assai diffusa e perniciosa malattia, la malaria, anch’essa in diverse forme, agevolata dalla diffusa presenza di acque stagnanti, di paludi, dette anche ‘maremme’, che favorivano le pericolose attività di zanzare.

L’Italia, preesistente alle grandi bonifiche, conviveva e soccombeva frequentemente alla malaria che colpì mortalmente Dante Alighieri mentre tornava, dopo un’ambasceria, sette secoli esatti fa, da Venezia a Ravenna, attraverso le allora assai più estese paludi, ora ristrette alle pur cospicue Valli di Comacchio. Un secolo e mezzo dopo, il più grande umanista rinascimentale, il cardinale Bessarione, cui si deve anche la donazione dei libri coi quali nacque la Biblioteca Marciana di Venezia, mori anch’egli a Ravenna per malaria, al ritorno da un viaggio da Venezia attraverso le paludi. Anche nell’Ottocento la malaria colpiva mortalmente. Camillo Cavour ne contrasse una variante a maggio 1861, nella sua azienda agricola piemontese, ricca di acque stagnanti per le risaie, e ne morì dopo pochi giorni. Per la verità il medico e scienziato romagnolo Luigi Carlo Farini, suo principale collaboratore nel Risorgimento, provò a somministrargli un medicamento allora sperimentale, il chinino, che Cavour, molto debilitato, non riusci a ingurgitare.

A fine Ottocento la malaria era mortale in una assai elevata percentuale di casi, con anche sedicimila vittime all’anno. Fra il 1895 e il 1900, per merito di scienziati come il marchigiano Angelo Celli (di Cagli), furono approvate leggi per la diffusione capillare del "chinino di Stato", senza scopo di lucro, attraverso le farmacie e, ancor più capillarmente, tramite i Tabaccai, cioè le rivendite dei prodotti dei Monopoli di Stato.

La malaria cosi non venne debellata, ma i decessi furono fortemente ridotti, nonostante le resistenze di settori della popolazione che temevano il nuovo farmaco. In proposito furono efficaci le iniziative sociali di diffusione della conoscenza, anche nelle campagne, delle possibilità di cura della malaria col chinino. La malaria continuò a colpire, anche se sempre meglio curata, pure nella prima metà del Novecento, in particolare nelle zone non bonificate. Soltanto dopo la seconda guerra mondiale la diffusione della malaria venne stroncata in Italia, e particolarmente in Sardegna, dove era ancora frequente, per merito innanzitutto degli americani della Fondazione Rockefeller che finanziarono un apposito Ente "per la lotta antianofelica" (cioè contro quel tipo di zanzare che diffondevano la malaria). In pochi anni, anche con opere idrauliche, la malaria venne sconfitta pure in Sardegna. Ma in altri continenti la malaria rimane tuttora una delle principali cause di morte. Insomma, le epidemie non sono una novità del nuovo millennio, ma sono state ben più gravemente diffuse nei secoli passati, quando erano più arretrate la ricerca scientifica, la conoscenza e la diffusione di efficaci medicamenti.