Vito Mancuso: "Ora la sfida di Francesco è l’apertura alle donne"

Per il teologo, Bergoglio è chiamato a portare avanti le riforme promesse. "Il suo è un papato sociale e profetico, anche se la Chiesa al suo interno è divisa"

Roma, 1 gennaio 2023 - Benedetto e Francesco: "Due Papi di grande spiritualità e anche di grande convinzione di sé. E come tutti coloro che possiedono un carisma particolarmente intenso, capaci di suscitare entusiasmi e opposizioni", osserva il teologo Vito Mancuso. La scomparsa di Joseph Ratzinger tuttavia non porterà sconvolgimenti nel pontificato di Bergoglio e nella vita della Chiesa: "Credo che ora l’unica novità sia la possibilità che Papa Francesco effettivamente si dimetta, qualora non senta più di avere le forze per sostenere il suo servizio – aggiunge –. Non avrebbe potuto farlo prima, perché si sarebbe creata la compresenza di tre Papi. Se e quando Papa Francesco avrà intenzione di compiere questo passo, come ha fatto intendere, non avrà più motivi di ostacolo".

Joseph Ratzinger e Papa Francesco (Ansa)
Joseph Ratzinger e Papa Francesco (Ansa)

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Pensa che potrà farlo realmente?

"Sinceramente mi auguro che non si dimetta, che stia bene e che prosegua il suo cammino nella Chiesa, anche per condurre in porto alcune riforme da tempo desiderate e attese".

Per esempio?

"Dare più spazio alle donne nella Chiesa. Proprio di recente ha annunciato che entro due anni ci sarà una donna a capo di un dicastero. Ha detto che ‘nulla impedisce a una donna di dirigere un dicastero in cui un laico possa essere prefetto’. Mi auguro che questo avvenga davvero".

La presenza del Papa emerito ha influito sul papato di Francesco?

"No. In questi nove anni Benedetto XVI ha tenuto un profilo di enorme discrezione e signorilità, pur avendo una personalità teologica e spirituale di altissimo livello. Da parte sua, Papa Francesco non è certo facilmente influenzabile: ha carattere da condottiero, sicuro della sua vita. Penso tuttavia che Papa Ratzinger avrebbe dovuto andare fino in fondo con le sue dimissioni".

Ovvero?

"Non vestirsi più di bianco e non chiamarsi più Papa, per non creare confusione e disorientamento. Il papato non è uno status, ma un ministero, un servizio che si assume: quando si lascia questo ‘munus’, questo ‘ufficio’, si devono abbandonare anche i segni che lo denotano. Certamente Papa Ratzinger sarebbe rimasto sempre vescovo, poteva essere insignito di una diocesi, ma la definizione di Papa emerito non mi ha mai convinto. E, come sappiamo, si è prestata anche a strumentalizzazioni da parte di frange estremiste o tradizionaliste".

Qual è la cifra dei due papati?

"Papa Benedetto non ha mai cessato di essere un teologo: la sua forma mentis è stata sempre storica sistematica. Le sue splendide catechesi erano sempre rivolte al passato e, sia chiaro, non è un giudizio negativo: nella Chiesa cattolica lo sguardo verso la tradizione è costitutivo. Questo ha portato a sentire il pontificato di Benedetto come conservatore. Papa Bergoglio, al contrario, è caratterizzato dal guardare avanti, al presente: è stato il primo Papa a dedicare un’enciclica all’ecologia, si occupa di questioni sociali, la guerra, i poveri, le sofferenze. Il suo è un papato sociale e profetico, quello di Benedetto è stato teologico e mistico".

Ma su tante riforme, Papa Francesco ha incontrato resistenze...

"Anche Giovanni XXIII dovette fronteggiare resistenze quando decise di indire il Concilio. E accadde pure a Paolo VI nel post Concilio. Tutto questo fa parte dell’arte del governo. Certo, il governo della Chiesa, che è chiamata all’unità, è ancora più impegnativo: l’arte di un Pontefice è di creare il maggior consenso sulle sue riforme. Il Papa è come un direttore d’orchestra o il capo di un esercito: non può avere contrari il suo stato maggiore o i principali collaboratori".

E ancora evidentemente ci sono difficoltà?

"Certe resistenze che hanno accompagnato Papa Benedetto sono ancora presenti per Papa Francesco. Ed è un dato di fatto che la situazione della Chiesa è ancora profondamente divisa".