Giovedì 18 Aprile 2024

Chiamami ancora col mio nome. Vivere il dramma in famiglia

Il tu che diventa lei. L’intimità che, di colpo, è prima estraneità per poi trasformarsi definitivamente in assenza. Le pupille che non brillano più. Osservano il vuoto. E il cervello: chissà che cosa passa lì dentro adesso. I ricordi sono spariti, cancellati. Lei, seduta in poltrona, sempre nella stessa posizione, con lo scorrere inesorabile dei giorni e del tempo. Le foto di una vita che non scatenano nemmeno un sussulto. Andrea Zanzotto, da poeta, ha provato a raccontare in versi che cos’è l’Alzheimer. L’ha chiamato, nel suo dialetto, il "mal del desmentegon", "le peste da distrazhion". Sì, è una peste. Di cui si continua ancora a parlare poco, se non per gli appuntamenti comandati: la giornata mondiale che cade ogni anno il 21 settembre.

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Il 21 settembre, per uno scherzo del destino, è anche il giorno di San Matteo. Quel nome che mia madre non riesce più a pronunciare ormai da anni. Le passo davanti e nemmeno si accorge che ci sono. Non sono un fantasma, sono semplicemente un estraneo che entra dentro casa, la casa in cui sono nato e in cui lei mi ha cresciuto. In cui ho condiviso con lei ricordi che al solo pensiero producono un groppo in gola, da cui è difficile liberarsi.

Possibile che lei non mi riconosca più, possibile che io meriti solo un "arrivederci" come per qualsiasi persona che incontrerebbe per strada, se solo uscisse ancora?

L’unico modo per pacificare i pensieri (e il cuore) di chi ha in famiglia un malato di Alzheimer, è di pensare che in quel mondo in cui vivono una mamma o un papà affetto da questo morbo (una peste, per ora, senza cura) – e che noi non riusciamo a vedere con gli occhi della realtà – siano felici. In pace con loro stessi.

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