Chi non vuole il Green pass e perché? Politici e ristoratori, il fronte del no

Meloni: "È anticostituzionale, ma non sono no vax". I 5 stelle: sbagliato l’obbligo esteso del certificato. Salvini giura: "Mi immunizzerò ad agosto". I gestori dei locali temono nuove chiusure per le limitazioni

Green pass

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Non è una questione di vaccinati contro no-vax. Per carità, qualcuno che rifiuta di farsi inoculare il farmaco nelle fila di Lega e FdI, i partiti più apertamente contrari al green pass obbligatorio, c’è. Ma si tratta di esigue minoranze: Matteo Salvini ci tiene a far sapere di essere prenotato per agosto. Avrebbe dovuto fare la prima dose qualche settimana fa, l’appuntamento però coincideva con un’udienza in tribunale a Torino ed è stato costretto a rimandare. Pure Giorgia Meloni ha detto e ripetuto che è intenzionata a vaccinarsi. Tanto che, indignata contro certe equazioni, s’infervora su Facebook: "La Germania dice no al green pass come requisito per partecipare alla vita sociale: anche la Merkel è no-vax?".

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Le motivazioni che spingono i due partiti e i loro leader a bocciare il modello francese ("ne parleremo se sarà necessario", avverte l’ex ministro dell’interno), ovvero l’idea di imporre la carta verde che si ottiene dopo aver finito il ciclo vaccinale non solo per partecipare a eventi ma anche per usufruire di alcuni servizi, sono diverse e diversificate. A destra ne fanno prima di tutto una questione di principi. "È una follia anticostituzionale: per noi la libertà individuale e il diritto alla salute del singolo sono inviolabili", scandisce il capo dei deputati di Fd’i, Francesco Lollobrigida. I costituzionalisti Cassese e Flick dicono che l’interesse collettivo alla salute giustifica la compressione delle scelte dei singoli?

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E lui che, oltre ad aver avuto il Covid si è immunizzato con Johnson&Johnson, rilancia: "Non mi sognerei mai di imporre il vaccino a chi non vuole farlo con minacce di segregazione". Anche perché, chiosa, sui farmaci, sono state date troppe informazioni contraddittorie. Un ragionamento che Massimiliano Romeo, capo dei senatori leghisti, condivide. Benché poi fissi l’attenzione su altri punti: i danni economici e i problemi pratici che potrebbero derivare a bar e ristoranti dalla certificazione obbligatoria: "Ci sarà chi, pur di non vaccinarsi, rinuncerà ad andare nei locali pubblici. Ma ci sono anche dubbi sull’applicazione. Chi controllerà il certificato verde? E come? Con una app?". Interrogativi che rimbalzano anche fra gli addetti ai lavori: se chef Rubio lo definisce "antidemocratico, tendente all’apartheid", il ristoratore Luigi Corbo su twitter cinguetta: "Se un cliente mi esibisce il Green pass devo anche controllare i documenti per verificare se sia lui? E se mi arriva un tavolo da 6? E se un locale ha 100 coperti quanto tempo impiega?". Ragion per cui il ministro del turismo, Massimo Garavaglia, rilancia: "Non è pensabile mettere nuove restrizioni: il green pass può servire per le discoteche, così finalmente riaprono".

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Fin qui siamo nella norma. Lega e Fd’I hanno sempre giocato questa parte in commedia. A spiazzare è M5s che, a sorpresa, fa uscire un post contrario all’allargamento del pass obbligatorio per gli esercizi pubblici. "Ci sono luoghi con grandi afflussi di persone, dagli stadi ai concerti fino alle discoteche e per queste attività riteniamo utile il pass. Diverso il discorso per attività come bar o ristoranti: introdurlo significherebbe solamente limitare una ripresa così faticosa, dopo mesi di sacrifici". Se sarà questa la posizione finale del Movimento, dato l’abituale caos, chi può dirlo. Il Ministero della salute non sembra particolarmente coinvolto nel dibattito, ma l’opinione prevalente è che se si vogliono cancellare le zone gialle, il certificato verde per le discoteche non basta, bisogna allargarlo anche ai locali pubblici al chiuso.