Che fine fa Di Maio? Letta prova a salvarlo. Ma gli ex grillini temono l’estinzione

Il leader di Impegno civico non sarà candidato in un collegio sicuro. Superare lo sbarramento è difficile, i dem gli offrono un posto in lista

Luigi Di Maio, nato nel 1986, è uscito dai Cinquestelle il 21 giugno scorso

Luigi Di Maio, nato nel 1986, è uscito dai Cinquestelle il 21 giugno scorso

Roma, 3 agosto 2022 - Ieri, nel Transatlantico di Montecitorio, le facce dei deputati del partito di Luigi Di Maio, Impegno Civico (già Insieme per il Futuro), erano pessime. Scorate, per lo più. Disperate, in alcuni casi. Sorridenti, ma con un ghigno stile Joker, in altri. Tutti in attesa di incontrare il leader nell’assemblea congiunta dei gruppi di Ipf che si è tenuta in serata. Di Maio dice loro, scuro in volto, che "una coalizione si fa sui programmi, è quindi adesso necessario aprire una riflessione. Dovremo rivederci e fare un punto tra di noi".

Ieri mattina, il ministro degli Esteri si è trovato sbalzato dal collegio uninominale che credeva di ottenere dal Pd. Succede, infatti, che Carlo Calenda, nuovo dominus di una coalizione di centro-sinistra che avrà, così dice lui, due front runner (lui e Letta), ha preteso e imposto, a Letta, il suo diktat. Quelli che ritiene impresentabili, indigeribili (la lista è lunga: si va da Bonelli e Fratoianni fino, appunto, a Di Maio) non devono essere candidati nei collegi uninominali maggioritari, ma solo nei listini proporzionali di ognuno dei partiti alleati.

Di Maio presenta il simbolo di Impegno civico. C'è un'ape come in quello di Rutelli

Ma i collegi sono i soli posti dove, godendo del traino del Pd, i leader potevano avere matematica certezza di elezione. Bonelli e Fratoianni se la ridono: "È passato il nostro lodo. Noi ci mettiamo la faccia, sulla nostra lista, sicuri di fare il 3%. Siamo già al 5%, molto più di Calenda, vedrai!".

Il problema è tutto in casa di Di Maio. Ieri sera, alla Farnesina, è corso Enrico Letta per cercare di ricucire, recuperare, far sbollire l’ira funesta che non è solo sua, ma pure di Bruno Tabacci. Il quale, però, non essendo un ex M5s, ma un ex di tanti partiti ha diritto a un collegio. E tutti gli altri, cioè 53 deputati e 11 senatori? Se Di Maio (e Tabacci) avranno "diritto di tribuna", come gli ha garantito Letta, nel listone del Pd, chi capeggerà la lista di Impegno civico che, tra le tante altre cose, porta il suo nome nel simbolo?

Infatti, causa Rosatellum, ma pure causa il buon senso, non ci si può candidare in due liste, anche se collegate in coalizione (Impegno Civico e Pd), ma solo in una delle due. Siamo al non sense. Se Di Maio si candida con il Pd, nel proporzionale, magari pure da capolista, qualcuno dei suoi (chi?) dovrà essere capolista, cercare i voti casa per casa per la lista dell’ape (disegnata nel logo). Solo che così Di Maio ce la fa, gli altri probabilmente no. Infatti, riuscire a passare lo sbarramento al 3% è impresa improba e oggettivamente impossibile per una lista nata ieri e a rischio fondo classifica in una competizione durissima non solo tra i poli, ma pure tra gli alleati.

Per salvar capra e cavoli, il Pd dovrebbe compiere l’ennesimo sacrificio: assicurare non solo ad Azione-+Eu e ai rosso-verdi, ma anche a Di Maio, almeno un pugno di collegi blindati o contendibili per i vari Spadafora, Castelli, Battelli, etc. I quali, altrimenti, andranno allo sbaraglio. Un bel guaio che un deputato di Ipf traduce così: "Ho letto che Greenpeace ha lanciato una campagna per salvare le api. Vorrà dire che la lanceremo pure noi…".