Cgil in piazza: confronto sul lavoro "La destra non è prima nel Paese"

Landini: "Vogliamo essere ascoltati". In corteo anche Orlando e Conte. Meloni: "I danni li ha fatti la sinistra"

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di Giovanni Rossi

Le bandiere rosse riempiono Piazza del Popolo. Bella Ciao risuona in forma di monito. A un anno dall’assalto neofascista alla sede della Cgil, il sindacato rilancia la sfida. Lo fa in un clima generale più sfilacciato e complesso persino rispetto ad allora, quando il presidente del Consiglio Mario Draghi, con sensibilità istituzionale, andò ad abbracciare il segretario Maurizio Landini a 48 ore dal raid guidato dagli esponenti di Forza Nuova. In una piazza gremita Landini accusa il Parlamento di non aver "messo fuori legge tutte le forze che si ispirano al fascismo" e poi traccia la linea: "Non siamo qui contro qualcuno ma perché venga ascoltato il lavoro. La Cgil ha 11 milioni di iscritti, e se con 12 milioni di voti puoi candidarti a governare il paese, con 11 milioni di iscritti potremo chiedere al governo di essere ascoltati". Riassume: "Con 18 milioni di non votanti e schede bianche nessuno può dire di avere la maggioranza. Non lo diciamo per delegittimare, ma deve essere chiaro che, se la situazione è così difficile, abbiamo bisogno non di dividere ulteriormente il Paese, ma di unirlo, e partire dal lavoro". Il metodo? "Nessuna pregiudiziale, ma non vogliamo essere chiamati a cose decise".

Esigenze di cassa e piste operative. "La flat tax non è la via, le tasse vanno ridotte a chi le paga, non a chi evade o non ne paga abbastanza", si scalda il segretario della Cgil. Uno zuccherino per Giorgia Meloni pressata da Matteo Salvini sul caro bollette: "No a scostamenti di bilancio", perché poi "li fanno pagare a noi su sanità e scuola". Landini è preoccupato: "Al Paese si deve dire la verità. Le imprese sono a rischio chiusura, se si arriva al razionamento sarà peggio". Meglio soluzioni straordinarie come "la tassazione al 100% degli extraprofitti non solo energetici ma anche di altri settori". All’Italia serve "un fondo nazionale" prima che "il sistema economico salti".

Meloni, premier in pectore, vive una giornata oscillante. Prestandosi alla possibilità di essere equivocata, rilascia questo post molto duro: "Stiamo vivendo un paradosso in cui la sinistra, attualmente al governo, scende in piazza contro ‘le politiche del governo Meloni’ non ancora formato. Comprendo la voglia di protestare dopo anni di esecutivi inconcludenti che ci hanno condotto nell’attuale disastrosa situazione, ma il nostro obiettivo sarà restituire futuro, visione e grandezza all’Italia. A breve volteremo finalmente pagina". Poi si pente e corregge il tiro attraverso una nota di partito: "Non c’è alcuna relazione tra il post pubblicato e la manifestazione della Cgil a Roma, che a quanto risulta non è stata organizzata per protestare contro Meloni. Il presidente di FdI si riferisce infatti alle manifestazioni nei giorni scorsi in varie città", recita il testo. Fabio Rampelli, delegato dalla leader, ricuce le distanze in serata. Accolto in Cgil al pari del segretario dem Enrico Letta, proclama "incondizionata solidarietà a Landini e ai lavoratori". Ma ormai la gaffe è servita.

Il ministro del Lavoro Andrea Orlando, ancora di governo però già di piazza, quasi non crede al regalo: Meloni non ascolta "la parola d’ordine del sindacato", che "chiede solo di proseguire il metodo del confronto che caratterizza tutte le democrazie". Dieci temi su cui discutere: aumento stipendi e pensioni; superamento precarietà; salario minimo; legge sulla rappresentanza; vera riforma del fisco; sicurezza nei luoghi di lavoro; miglioramento reddito di cittadinanza; modifica legge Fornero; tetto bollette; autonomia energetica. Meloni "dovrebbe cominciare a chiedersi che risposte dare", suggerisce Susanna Camusso, ora senatrice Pd. "Dignità al lavoro. La nostra agenda sociale ha molti punti in comune", rimarca Giuseppe Conte, leader 5 Stelle. "Il popolo chiede cose semplici e necessarie", sintetizza Nicola Fratoianni (Verdi Sinistra). Tutto il resto conta meno.