Giovedì 18 Aprile 2024

C’era una volta il sogno social E ora ci sono solo i licenziamenti

Dopo il maxi piano di tagli varato da Musk per Twitter, anche Zuckerberg caccia migliaia di dipendenti. Scandali, dati personali rivenduti, condanne fiscali, campagne d’odio: un modello ormai andato in crisi

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di Lorenzo

Guadagnucci

Prima Twitter, ora Meta: nel magico mondo dei social network è l’ora dei licenziamenti di massa. Elon Musk, neo proprietario del social cinguettante, sta mettendo alla porta metà dei 7.500 dipendenti (anche se ieri l’istrionico imprenditore ha fatto dietrofront riassumendo decine di dipendenti licenziati); Mark Zuckerberg, patron della società che controlla (fra gli altri) Facebook, si prepara a tagliare una bella fetta dei suoi 87mila dipendenti. Si tratta del più importante taglio generalizzato del personale dei suoi 18 anni di vita: sarà nell’ordine di migliaia di persone e scatterà da domani. È un uno-due quasi da k.o.

Sembra passato un secolo dalla stagione d’oro dei tweet e dei mi piace compulsivi, quando si mitizzavano i giovanissimi padri fondatori dei nuovi, nuovissimi sistemi di comunicazione globale. La Silicon Valley, da mitica terra promessa, luogo simbolo di un avveniristico capitalismo hi-tech, si sta trasformando in area depressa, più vicina alla Detroit de-industrializzata che al sogno di un’economia immateriale, libertaria, baciata dal sole – anche metaforico – della California. È un brusco risveglio, dettato dal declino economico contingente (incassi pubblicitari in flessione, quotazioni di Borsa al ribasso: il titolo di Meta nel 2022 ha perso il 70% a Wall Street), ma anche il segno una crisi profonda di senso, l’esito del progressivo sgretolamento di una promessa che forse era un’illusione.

L’illusione di creare enormi ricchezze e infinite occasioni di incontro, comunicazione e business a partire da un’idea in apparenza banale: mettere in contatto fra loro milioni, poi miliardi di persone. Certo, ha funzionato. I padri fondatori – Zuckerberg e gli altri – hanno davvero accumulato enormi ricchezze, e milioni, poi miliardi di persone hanno davvero goduto – e tuttora godono – di occasioni e relazioni mai sperimentate prima, ma il lato oscuro della rete e della Silicon Valley si è via via allargato, prendendo il centro della scena. Abbiamo scoperto col tempo, per esempio, che lavorare nei colossi dell’hi-tech può essere un’esperienza alienante, un misto di esaltazione ideologica – la sensazione di avere il futuro fra i polpastrelli – e sottomissione volontaria al limite del neo schiavismo: esemplare il romanzo di Dave Eggers ’Il cerchio’ (2013). Abbiamo poi capito, ma con fatale ritardo, che il miracolo del tutto gratuito nascondeva una verità che tuttora stentiamo a mettere a fuoco: se non devi pagare – dice un motto rimasto troppo inascoltato – vuol dire che la merce sei tu, ossia i tuoi dati personali, i tuoi gusti, le tue amicizie e frequentazioni, insomma tutto quello che si può tracciare in rete e trasformare in beni immateriali da vendere a carissimo prezzo sul mercato (anche quello elettorale, do you remember lo scandalo Cambridge Analytica?). È diventato anche chiaro quanto sia deregolamentata l’economia digitale: nel contesto globale, quale Stato può mettere regole serie di comportamento o esigere imposte adeguate sugli abnormi profitti?

Insomma, siamo entrati impreparati – gli Stati e le persone – nel vortice della vita digitale, scoprendo troppo tardi che è una specie di giungla, dominata da pochi potentissimi padroni e afflitta da un malcostume generalizzato, fra elusione fiscale senza freni, privacy inesistente e algoritmi che guidano l’esperienza di ciascuno senza darlo troppo a vedere, per tacere del dilagare di fake news e campagne d’odio. Delle promesse iniziali resta ormai ben poco e tuttavia è presto per intonare il de profundis degli ormai vecchi social network: il pallino – nonostante tutto – è ancora in mano ai padri fondatori, al punto che non riusciamo nemmeno a pensare, e tanto meno progettare, un modello organizzativo diverso, con l’interesse pubblico in primo piano e il diritto (quindi i diritti) come regolatore del sistema. È la magia, se vogliamo chiamarla così, della Silicon Valley, sia pure finita in provincia di Detroit.