Sabato 20 Aprile 2024

Centrodestra, il vertice è un flop E la Meloni accusa tutti: voglio i fatti

Il pranzo ad Arcore non placa le liti sulle amministrative. La leader di Fd’I attacca: non basta declamare l’unità

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di Antonella Coppari

E meno male che puntavano a riannodare il filo: Berlusconi, Salvini e Meloni pranzano assieme ad Arcore cinque mesi dopo la rottura sul voto per il Quirinale ma la toppa che cercano di mettere è peggio del buco. A unirli, aperitivo e branzino in crosta; per il resto sono divisi su tutto. Dalla candidatura di Musumeci in Sicilia al futuro che li attende nel 2023. Pure le imminenti amministrative si confermano motivo di lite. Vanno insieme in 21 capoluoghi, ma a Messina, Catanzaro, Parma, Verona e Viterbo no: "Marciano divisi per non perdere uniti", ironizza il calendiano Osvaldo Napoli.

Persino più allarmante appare l’incapacità di mascherare la divisione: Silvio e Matteo ci provano. Il primo, che lascia il vertice insieme a Calderoli con un’ora d’anticipo ufficialmente "per impegni precedenti" si definisce "molto soddisfatto". Il Cavaliere di fronte ai cancelli della villa è più contenuto: "Solo un pazzo manderebbe all’aria la coalizione: uniti si vince". Forse neppure Berlusconi si aspetta che gli credano, dal momento che tutto quel che può mettere sul tavolo di concreto sono idee di ieri: la resurrezione dei club della libertà e un rimaneggiamento del programma del 2018. Ma certo non si aspetta neppure la durissima nota con cui Giorgia Meloni scopre gli altarini, rivelandola sua profonda irritazione: "L’unità non basta declamarla. Occorre costruirla nei fatti" Fd’I spiattella come sono andate le cose: Berlusconi aveva dato aveva il semaforo verde alla candidatura di Musumeci, "ma Salvini si è opposto, ha chiesto di ritardare l’annuncio". Il bis in Sicilia del presidente uscente – sottolineano a via Bellerio – è sconsigliato non da Matteo ma dai sondaggi negativi.

Peggio che andar di notte sul documento con cui gli alleati dovrebbero impegnarsi solennemente ad evitare come la peste democratici e grillini: assicurazioni verbali quante se ne vuole, una firma nero su bianco proprio no. Simile l’atteggiamento di Salvini e Berlusconi sulla riforma proporzionale: promesse, ma nulla più. "È positiva la contrarierà al proporzionale ma restano fumose – scrive ancora la Meloni – le regole d’ingaggio per comporre le liste nonché le garanzie degli alleati a non fare alleanze con Pd e M5s". Se l’idea di andare insieme ai ballottaggi rende meno dolorosa la divisione in 5 capoluoghi il 12 giugno, sul summit grava l’ombra delle dichiarazioni con cui Berlusconi si è scagliato contro il segretario Nato, Stoltenberg, e il presidente americano Biden.

Alla vigilia del vertice l’ufficio stampa azzurro chiarisce: "Nessuna complicità per Putin, l’invasione è stata un atto di forza inaccettabile". Ma non corregge i punti chiave: il giudizio sferzante sull’incapacità di cercare una soluzione diplomatica e la palese contrarietà all’invio di armi pesanti. A pranzo il Cavaliere ripete quanto dettato in mattinata: Salvini è una su una posizione simile sia pure pesando infinitamente di più le parole.

Giorgia Meloni, invece, no: per lei, come specifica Ignazio La Russa, presente all’incontro, "le armi bisogna continuare a mandarle senza distinzione tra armi di difesa e d’offesa. Che dovremmo fare? Dare agli ucraini scudi e lance?". Anche sul tema più delicato il centrodestra è diviso al punto tale che la leader di Fd’I appare quasi più in consonanza con Enrico Letta con cui oggi presenterà il libro di Giovanni Orsina alla Luiss.