di Elena G. Polidori Il centrodestra arriva sfilacciato a un passo dal voto della possibile svolta per la successione a Sergio Mattarella al Quirinale. Matteo Salvini, nel mirino di una Giorgia Meloni sempre più irritata da un "attivismo di Matteo – si dice tra le fila di Fd’I – che guarda a mire di governo più che al Colle", ieri sera ha aperto al Pd per una soluzione che potrebbe arrivare anche oggi o al più tardi domani. Il leader leghista, dopo una lunga ricognizione di cui, però, non ha dato conto agli alleati se non a tarda sera durante alcune telefonate ’riparatrici’, soprattutto in zona FI, ha portato al tavolo "interforze" i nomi di Mario Draghi, Pier Ferdinando Casini (su cui è netta l’ostilità della Meloni) e, a sorpresa, quello del giurista Sabino Cassese. La tesi che ha guidato le mosse del leader della Lega è stata semplice: se Draghi e Casini fossero due nomi capaci di "elidersi a vicenda" quello di Cassese starebbe in piedi, 5 Stelle a parte, viste le note critiche del giurista nei confronti di Giuseppe Conte. Tesi che il leader del Carroccio ha condiviso con alcuni interlocutori del Pd e non solo e che lo hanno condotto, per tutta la giornata di ieri, a svolgere un ruolo di ’kingmaker-battittore libero’, questione che ha irritato gli alleati, a partire proprio dalla Meloni. D’altra parte, già il vertice del centrodestra dell’altra sera, quello propedeutico alla terza votazione (poi finita in una fumata nera) era terminato con una spaccatura. Bisogna contarsi, dimostrare la forza del centrodestra, il ragionamento di Meloni, con Salvini che, secondo i presenti, non avrebbe preso una vera e propria posizione, sarebbe rimasto più che altro in silenzio, mentre gli altri alleati, in particolar modo Forza Italia, avrebbero frenato. Se andiamo alla conta vuol dire che ...
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