di Gabriele Moroni (Verbano Cusio Ossola) Un sibilo. Il cavo di traino che si rompe. La cabina della funivia che retrocede velocemente e va a sbattere contro un pilone. Rimbalza. Precipita a valle. Scompare allo sguardo di chi assiste, sgomento, all’inizio della tragedia. La cabina precipita da un’altezza di quindici o venti metri. Piombata a terra rotola per qualche decina di metri e va ad arrestarsi contro un gruppo di abeti. È l’ultimo schianto. "È caduta una cabina della funivia", è la prima, concitata, telefonata che raggiunge il 112. Da quel momento è tutto un accorrere frenetico quasi alla sommità dei 1491 metri del Mottarone per raccogliere le prime scene della tragedia della funivia che collega Stresa al Mottarone. Tredici morti. Qualche speranza per due bambini di nove e cinque anni trasportati all’ospedale Regina Margherita di Torino. Uno non ce l’ha fatta e nel tardo pomeriggio di una domenica nera il bilancio delle vittime sale a quattordici. Il piccolo di cinque anni è così l’unico sopravvissuto alla strage. Mottarone, luogo canonico di vacanze e weekend, a cavallo fra Piemonte e Lombardia. Gli escursionisti della domenica hanno negli occhi e traducono in parole tutto il loro sbigottimento. Molti di loro erano lì, a un centinaio di metri dalla stazione di arrivo della funivia. Salivano a piedi. "Ho sentito – racconta un testimone – un sibilo lungo, molto forte. Ho visto la cabina che scivolava indietro velocemente, verso valle, e andava a sbattere contro il pilone. È stato uno schianto terribile, impressionante". "Abbiamo sentito - racconta una giovane coppia di Varese - come il rumore di un’automobile o di un camion che va a cozzare contro un muro. Siamo rimasti perplessi su cosa potesse essere accaduto, ma poco dopo abbiamo sentito le prime sirene e abbiamo capito che era successa una tragedia". È ...
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