Mercoledì 24 Aprile 2024

C’è Draghi al Colle dietro il patto di Letta

Nello schema del segretario Pd il premier sarebbe l’unico in grado di raccogliere una maggioranza ampia, risultando gradito all’Europa

di Antonella Coppari

La proposta di Letta è più impegnativa di quanto sembri. Contraddice le cautele che il segretario Pd aveva mantenuto fino a pochi giorni fa, prefigurando ciò che sarebbe stato del tutto impensabile: un patto politico con Forza Italia e Lega. I leader che sostengono Draghi si riuniscono e decidono insieme non solo sui punti caldi della manovra le prospettive della legislatura, le principali scadenze parlamentari e, a cascata, il nuovo presidente della Repubblica. Ragion per cui dai cinquestelle piovono non solo dubbi, ma pure tentativi di avvelenare i pozzi tornando ad attaccare Renzi con 13 domande su Open che pubblicano sul loro blog. E d’altra parte, Salvini sente il bisogno di placare la comprensibile irritazione di Giorgia Meloni andando, a sorpresa, negli uffici a Montecitorio della presidente di Fd’I facendo il punto della situazione per oltre un’ora.

Le perplessità maggiori però vengono proprio dal premier: in via informale, Palazzo Chigi fa filtrare che non è stato convocato nessun vertice con i segretari di partito. "Il confronto partirà dal Parlamento", s’affrettano a sottolineare al Nazareno. Una resistenza che non stupisce: da quando si è insediato, Draghi ha sempre evitato di infilarsi nella palude delle mediazioni e dei compromessi tra i partiti considerandolo un freno.

Uno degli obiettivi di Letta è effettivamente condizionare il governo sugli 8 miliardi stanziati dalla manovra per la riforma fiscale. Qui lo scontro non è tra i partiti della maggioranza, ma tra questi e l’esecutivo. I tecnici più vicini a Draghi vogliono che quei fondi vadano alle aziende, i partiti ai lavoratori. Ma l’obiettivo principale del segretario del Pd riguarda l’elezione del capo dello stato. Se partisse davvero e arrivasse fino all’approvazione della legge di bilancio il tavolo si riunirebbe subito dopo per eleggere un presidente della Repubblica condiviso. Non una vera maggioranza politica, ma neppure solo l’accostamento rissoso che c’è stato finora. In quel caso il primo nome sul tappeto non potrebbe che essere quello di Mario Draghi: una personalità altrettanto in grado di raccogliere di una maggioranza parlamentare molto ampia e di risultare gradito all’Europa non è possibile trovarne. il problema è che l’accordo andrebbe stretto anche sul nome del suo successore a Palazzo Chigi perché tutti, incluso Salvini che deve ufficialmente negare, intendono evitare il voto nel 2022. Il rischio di quella deriva ci sarebbe comunque, lo sfarinamento della maggioranza è tale che nessuno potrebbe giurare sulla sua possibilità di resistere un anno neppure, se al timone restasse l’ex presidente della Bc .

L’ambizione del segretario del Pd va dunque oltre il semplice tentativo di rimettere in gioco i partiti sin qui relegati ai margini dall’iniziativa del governo. E’ una strategia non priva di rischi perché anche qualora il tavolo venisse apparecchiato non avrebbe vita facile e rischierebbe anzi di venire rovesciato dai numerosi conflitti tra l e diverse anime della maggioranza, a partire da quello sulla flat tax. E se pure tutte le palle andassero in buca, resterebbe un’incognita in grado di cambiare il quadro: nessuno sa quale sarà lo stato della pandemia in gennaio.