Caso Open, Renzi dai pm: processo politico

L’ex premier presenta una memoria difensiva di 5 pagine: "Violate le garanzie costituzionali dei parlamentari, errori nelle accuse: archiviate"

di Stefano Brogioni

Cinque pagine contro 90mila. Matteo Renzi e i suoi legali, Federico Bagattini e Gian Domenico Caiazza, hanno condensato la difesa del leader di Italia Viva e l’hanno consegnata ieri ai pm di Firenze, Luca Turco e Antonino Nastasi, che indagano su di lui e sulla fondazione Open. L’incontro tra il leader di Iv e i suoi accusatori, il primo da quando Renzi ha saputo di essere indagato, è durato una quarantina di minuti. Presente anche il procuratore capo Giuseppe Creazzo. L’ex premier e i suoi avvocati avevano tenuto nascosti giorno e ora dell’incontro, richiesto ai primi di novembre.

Non è stato un interrogatorio. All’uscita dal palazzo di giustizia di Firenze, Renzi ha riassunto in un post: "Credo nella giustizia, quindi chiedo giustizia. Questo processo politico alla politica resterà negli annali della cronaca giudiziaria come uno scandalo nel quale gli indagati non hanno violato la legge, mentre i pm hanno violato la Costituzione. E come se non bastasse la Corte di Cassazione ha già smontato in 4 diverse sentenze l’impianto dei pm. Tuttavia credo che un politico non debba scappare dalla giustizia".

La memoria difensiva contesta "in fatto e in diritto" l’imputazione di finanziamento illecito ai partiti contestata a Renzi, "per essere fondata sui premesse di fatto grossolanamente erronee ed arbitrarie, e su manifeste violazioni delle guarentigie costituzionale poste a tutela della funzione parlamentare assolta dal senatore". Il riferimento è alle conversazioni – una chat con il filantropo Vincenzo Manes, una scambio di mail con l’imprenditore e amico Marco Carrai – su cui la giunta per la autorizzazioni ha dato ragione a Renzi: se ci sarà l’ok del Senato, la condotta dei pm fiorentini (che avrebbero utilizzato tali conversazioni senza chiedere l’ok alla Camera di appartenenza) sarà valutata dalla Corte Costituzionale.

Ma non solo. Renzi respinge la qualifica di "direttore di fatto" di Open affibbiatagli. Contesta i curricula degli altri due indagati politici, Maria Elena Boschi e Luca Lotti (indicati quali "componenti" della segreteria Pd in periodi inesatti). Confuta la tesi della "corrente renziana" interna al Pd e del sostegno della fondazione al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

Errori nella ricostruzione che, secondo i suoi legali, dovrebbero far mettere la retromarcia alla procura e chiedere l’archiviazione. In subordine, l’espulsione dal fascicolo delle "corrispondenza indebitamente acquisita senza il rispetto dell’articolo 68 della Costituzione" e una maggiore precisione sui "contributi indiretti di cui avrebbe beneficiato il politico Renzi" e su questo ruolo di "direttore di fatto". Renzi chiede di tenere conto delle pronunce della Cassazione sulle Leopolde e il dissequestro dell’archivio dell’avvocato Alberto Bianchi "per consentire le doverose indagini difensive". E la procura? Nessuna reazione. Non resta che aspettare. Un dietrofront o, più probabilmente, la richiesta di rinvio a giudizio.