Caso Agostino, una barba lunga come la lotta per la verità

Il papà del poliziotto ucciso: "Non la taglio da 31 anni, voglio giustizia". Ieri la svolta, chiesto il processo per due boss

Vincenzo Agostino e la moglie Augusta, scomparsa nel 2019, con foto della coppia uccisa

Vincenzo Agostino e la moglie Augusta, scomparsa nel 2019, con foto della coppia uccisa

Vincenzo ha una barba lunga di trentuno anni. Gli arriva sotto il petto, praticamente. È bianca. Ha deciso di non tagliarsela più, in attesa della verità (e di giustizia) sulla morte di suo figlio Antonino. Antonino ‘Nino’ Agostino, poliziotto, fu ucciso, assieme alla moglie Giovanna Ida Castelluccio, incinta e sposata soltanto 30 giorni prima, in una sera di piena estate, a Villagrazia di Carini, nel villino di famiglia a pochi chilometri da Palermo. Era il 5 agosto del 1989, due mesi prima, all’Addaura, il fallito attentato a Giovanni Falcone. Quello che fece dire al magistrato – che sarà poi ucciso a Capaci il 23 maggio del 1992 – che era opera di "menti raffinatissime".

Trentuno anni dopo quell’omicidio, si apre uno spiraglio. Ieri è stato chiesto il rinvio a giudizio per due boss di Cosa Nostra. Ma restano ancora da chiarire tanti elementi di una storia italiana che s’inserisce a pieno titolo, purtroppo, nel filone dei misteri di questo Paese. Perché Antonino Agostino, poliziotto incaricato di catturare i super latitanti e che collaborava con i servizi segreti, sia stato ucciso, suo padre Vincenzo ancora non lo sa.

Nel frattempo Vincenzo ha perso per strada anche sua moglie che con lui non si è mai arresa al silenzio su questa storia. Lì, su quel divano della loro casa di Palermo, con gli sguardi puntati sulle telecamere, in decine e decine d’interviste, Vincenzo e sua moglie Augusta, stringendo forte la foto di matrimonio del figlio, hanno chiesto che fosse fatta giustizia. Hanno consumato suole di scarpe, si sono precipitati davanti alla procure, nelle piazze, ogni qualvolta si ricordavano le vittime di mafia. Antonino è una vittima di mafia, ma i contorni di quell’omicidio restano oscuri e, perfino, inquietanti.

Sopravvivere a un figlio non è mai facile. Ci si prova, si resiste e in qualche caso si riesce pure a farsene una ragione, nel momento in cui si sa di che cosa è morto un figlio. Dura la realtà, ma la si accetta. Vincenzo continua ancora a sapere solo che a suo figlio e a sua nuora hanno sparato, senza pietà. Un agguato.

Ieri Vincenzo si è seduto di nuovo sul suo divano, questa volta da solo. Questa volta senza la foto del matrimonio del figlio, ma aveva a fianco una foto di lui con la moglie. La signora Augusta che non l’ha lasciato mai solo in questa battaglia per la giustizia. Ma che sulla sua lapide, al cimitero, ha chiesto che fosse scritto: "Qui giace Schiera Augusta Giacoma, una donna in attesa di giustizia anche oltre la morte". Augusta non avrebbe mai voluto – come ripeteva negli incontri con gli studenti – quella lapide lì, perché era convinta che prima o poi si riuscisse a squarciare la coltre di silenzi attorno all’omicidio del figlio. "Mi curo – ripeteva, nella sua battaglia contro il male che l’aveva colpita – solo per vedere che un giorno mio figlio avrà finalmente giustizia".

Ora Vincenzo – e l’ha detto già in più di un’occasione – non vorrebbe, come la moglie Augusta, chiedere ai suoi parenti di scrivere sulla sua lapide le stesse parole della moglie. Vuole vivere almeno finché non si saprà la verità su chi ha ucciso Antonino. Ma intanto, anche dopo le richieste di rinvio a giudizio di ieri, non può ancora tagliarsi la sua lunga barba bianca.