Mercoledì 24 Aprile 2024

Raffaella Carrà fece la 'Fiesta' al franchismo. "Con lei la Spagna tornò a ballare"

Lo scrittore Zanon e l’impatto della showgirl sulla tv iberica: "Era trasgressiva e magnetica: un uragano di vita"

Raffaella Carrà

Raffaella Carrà

Una rivoluzione precipitata, a metà degli anni Settanta, su un popolo triste – la Spagna post dittatura – che rimase abbagliato dai capelli biondi di Raffaella Carrà agitati da un’artista "che aveva qualcosa a metà tra una funambola e la ragazza del ginnasio che usciva con uno più grande di un altro collegio", ma così potente "che né i piccoli, né i nonni, né le madri né i padri riuscivano a separarsi dalla sua immagine nel televisore". L’ha scritto stamani su ’La Vanguardia’ Carlos Zanon, 56 anni, autore catalano in libreria con ’Carvalho. Problemi di identità’, il suo ultimo romanzo edito da Sem. Un inno alla nostra Raffaella nazionale che proprio alla fine del franchismo, nel 1975, fece furore su TVE con un suo programma seguitissimo. E in Spagna la notizia della morte è stata un duro colpo per molti.

Che ciclone fu quello della Carrà?

"Quando Raffaella apparve sulla televisione spagnola il nostro era un Paese grigio, ancora molto represso; Franco era morto, ma il franchismo cercava di succedere a se stesso anche se ormai si capiva che era una stagione agli sgoccioli. Con la sua verve lei riuscì a conquistare uno spazio molto importante anche perché tutti comprendevano che era una grande artista e riusciva a piacere a tutti, sia ai maggiorenti sia al popolo".

Quale sua particolarità aveva colpito di più?

"Era magnetica, il suo sguardo era così forte che non potevi fare altro che stare incollato a lei. Aveva una forza speciale, era allo stesso tempo trasgressiva e simpatica, non molestava nessuno, era solo l’emblema della forza".

Lei era ancora un ragazzo: che cosa trasmetteva la tv spagnola allora?

"Stavano cominciando le trasmissioni a colori, ma non tutte le famiglie avevano il televisore adeguato. C’erano programmi di varietà con artisti spagnoli come Lola Flores e altri, molto folcloristici, o cantanti impettiti in smoking che copiavano i crooner americani. Raffaella dette la vera scossa".

A che cosa la possiamo paragonare?

"A un vulcano in eruzione, a un uragano di vita che ci insegnava una cosa che non conoscevamo".

Quale?

"La libertà. Il franchismo era molto legato al cattolicesimo e pur se agonizzante non permetteva che ognuno fosse libero di fare quello che si sentiva, in ogni campo. Dovevamo essere dipendenti di un’unica opinione, le passioni erano negate. Lei abbatté questo muro".

C’è stato un motivo principale per il quale è riuscita a farvi sentire più liberi?

"Sì: non era spagnola e quindi le era permesso uscire dai nostri clichet. Per noi era la fascinazione della libertà europea proprio perché il suo impatto non fu arrogante".

L’articolo si intitola ’Rafaella 5353456’. Come mai?

"Era il titolo della sua canzone (scritta da Gianni Boncompagni, il retro del 45 giri ’Tornerai’ appunto del 1975, ndr) con la quale facevo il karaoke: un ricordo di bambino che mi è sempre rimasto impresso".

Lei stava crescendo in un Paese difficile che cercava di recuperare il gap dal resto d’Europa. Ma avevate proprio bisogno di Raffaella per fare questo salto?

"Direi di sì, visti i risultati. Della Carrà e di un altro personaggio che è stato determinante non solo per chi come me è nato a Barcellona, ma per tutti gli spagnoli: Johan Cruijff. Sono sicuro: l’avvento dell’artista italiana e del calciatore olandese sono stati rivoluzionari per il nostro popolo".

Erano così distanti dalla vostra mentalità tanto da modificarla?

"Certo. Cruijff era una specie di Beatle, veniva da una società libera e trasgressiva e sapeva parlare alla gente, non solo in campo, ma anche nella vita comune. Il suo esempio è stato per i giovani trascinante e lui ha capito che questa era in fondo la sua terra. La prova è che non ha mai lasciato Barcellona dove è morto poco più di cinque anni fa".

Torniamo a Raffaella: c’erano altri artisti italiani che guardavate con interesse?

"Sì, due attrici miti del cinema: Sophia Loren e Claudia Cardinale. E fra i cantanti un incantatore: Franco Battiato".

E invece Miguel Bosé che cosa è per voi?

"Il mix fra la cultura del padre torero Luis Dominguin e la bellezza straordinaria della mamma italiana, Lucia, che aveva lavorato con Visconti e ci abbagliava. La somma dei due, ma il passato del padre, legato all’antico regime, non ci piace".