Mercoledì 24 Aprile 2024

Il cardinale Zuppi: "Troppi squilibri sociali. Questo precariato ruba i sogni ai giovani"

L’arcivescovo e l’impegno della Chiesa: andiamo per le strade. "Cresce il divario salariale fra manager e operai, non possiamo tacere. Aveva ragione chi diceva 'guai se non ci fossero i comunisti' "

Arcivescovo di Bologna, il 66enne Matteo Zuppi guida la Cei

Arcivescovo di Bologna, il 66enne Matteo Zuppi guida la Cei

Roma, 16 luglio 2022 - Certo che il cardinal Zuppi, arcivescovo di Bologna e neo presidente della Cei, è veramente un tipo diverso da quanto uno si immagina possa essere un cardinale, un arcivescovo e un presidente della Cei. Andiamo a intervistarlo per chiedergli – appunto – che cosa fa un presidente della Cei e la prima cosa che ci risponde è, in pratica, che non lo sa ancora: "Devo imparare". È davvero un semplice don. È don Matteo, che ci parla di tante cose: della Cei, del Papa, del precariato dei giovani, della pedofilia nella Chiesa, e del bisogno di Dio che l’uomo, comunque, avrà sempre. E, in fondo, anche di Dio che cerca l’uomo.

Allora, chi è un presidente della Cei, e che cosa fa? "Punto primo: non è il capo dei vescovi. Il capo dei vescovi è il Papa. Quindi devo imparare, ancora di più, a seguire le indicazioni del Papa. E cercare di servire la comunione fra le chiese locali, che devono affrontare insieme i problemi della gente".

Ecco, della gente ha detto, non della Chiesa... "La Chiesa è il popolo. La Chiesa deve prendersi cura di tutti. Ora comincia il secondo anno del cammino sinodale, che sarà importante perché il primo è stato rallentato dalla pandemia. E che cos’è un cammino sinodale? È soprattutto ascoltare: i giovani, gli anziani, quelli che si sono allontanati, gli incontri imprevisti come solo per strada possono avvenire. Ascoltare non per rilevazioni sociologiche, per certi versi qualcosa di più: fare nostre le passioni, le domande, le attese, per poi scegliere le risposte e comunicare Colui che è sempre la via, la verità e la vita. La Cei non deve essere un’amministrazione delle chiese locali o una struttura che si autoalimenta. Deve essere agile, per servire una Chiesa che arriva in strada, tra la gente".

Francesco denuncia spesso il rischio del clericalismo. Che cos’è il clericalismo? "È un atteggiamento che non appartiene solo al clero. Anche molti laici sono clericali. È una Chiesa in cui il ruolo è diventato più importante del servizio. È una cosa sottile: l’idea di una Chiesa in cui la responsabilità è di qualcuno che non mi coinvolge e dal quale non mi voglio far coinvolgere".

È anche la tentazione di interpretare il proprio ruolo come un potere? "Anche".

Il Papa da qualche tempo denuncia pure il rischio dell’indietrismo’. Che cos’è? "È una tentazione che colpisce ognuno di noi quando facciamo fatica a capire la direzione del cammino. È il pensare che i tempi andati siano sempre i migliori, è l’incapacità di cogliere i segni della presenza di Cristo nel mondo. È un avere paura dei cambiamenti. Giovanni XXIII li chiamava “i profeti di sventura”. Oggi, in una situazione come quella che stiamo vivendo, in un mondo sempre più scristianizzato... Ecco, alcuni hanno la tentazione di guardare indietro".

E di chiudersi? "E di chiudersi. Invece la scelta di Francesco è quella di incontrare tutta l’umanità, di parlare con tutti, di ascoltare tutti. È una scelta molto coraggiosa. Può disorientare, può sembrare troppo indulgente verso il mondo, può sembrare una giustificazione del mondo. Ma Gesù entrava nelle case dei peccatori e parlava con tutti".

Veniamo a un tema che le è caro: la povertà. C’è una generazione di potenziali nuovi poveri: i giovani. "Il nodo è la precarietà. È una generazione che già è stata privata di molti punti fermi... Insomma già sono vulnerabili, già non hanno certezze, se poi hai così tante difficoltà nel trovare un lavoro stabile, come fai a fare programmi? Non ti viene neanche il gusto di sognarlo, il futuro. E allora scegli di vivere solo il presente. E vivi male anche quello, perché non hai un obiettivo".

Edgardo Sogno, che combatté per Franco e fu sospettato di organizzare un golpe in Italia, insomma un uomo di destra, diceva: “Guai se non ci fossero i comunisti: l’egoismo dei padroni non avrebbe più alcun limite”. La paura del comunismo è finita all’inizio degli anni Novanta e da allora, almeno in Italia, i salari non sono più cresciuti, anzi sono scesi. Un caso? "Non conoscevo quella frase di Sogno ma sono totalmente d’accordo. Anche Giovanni Paolo II, che non è sospettabile di simpatie comuniste, diceva: attenzione che la caduta del comunismo non diventi la vittoria dell’egoismo. Certo, oggi la situazione è peggiorata. Penso al rapporto fra il salario di un operaio e quello di un amministratore delegato: una volta il secondo era superiore di una dozzina di volte, oggi anche di centinaia. La Chiesa non può accettare tutto questo".

Torniamo alla Cei. Lei dovrà affrontare anche la questione della pedofilia. Farà un rapporto come quello della Chiesa francese? "No, faremo un rapporto sugli ultimi vent’anni, cioè su quelli di cui abbiamo i dati. Lavoriamo sulle responsabilità accertate, altrimenti si rischia di scantonare. Il problema è anche cercare di capire come sia potuto succedere. Sicuramente non c’è stata una sufficiente presa di coscienza".

Perché la Chiesa è stata così omertosa? "Penso soprattutto si coprivano gli scandali per non creare scandalo, spesso con le migliori intenzioni. Ma non era e non è accettabile".

Gli uomini e le donne di oggi credono ancora in Dio? "Ogni tanto, ad esempio quando c’è una pandemia, riscopriamo il nostro limite. Poi, passa il pericolo e ce ne dimentichiamo. Ma rimuovere la domanda, il desiderio di superare quel limite, è impossibile, La nostalgia di Dio è nella vita stessa".