Asso, terrore in caserma. Spara al comandante. Carabiniere si barrica: "L'ho giustiziato"

Sul posto anche le forze speciali dell’Arma. La vittima è un luogotenente di 57 anni. Il brigadiere assalitore era stato ricoverato in Psichiatria: giorni fa era tornato in servizio

Il brigadiere Antonio Milia all'ingresso della stazione di Carabinieri ad Asso

Il brigadiere Antonio Milia all'ingresso della stazione di Carabinieri ad Asso

Asso (Como), 28 ottobre 2022 - Un primo sparo tra le mura della caserma. Un gemito di dolore, e subito altri due colpi. Da quel momento, un silenzio durato ore, fino a tarda sera. Un brigadiere dei carabinieri, Antonio Milia, 57 anni, che un collega in fuga ha sentito pronunciare una sola frase: "L’ho giustiziato", riferita al suo comandante di stazione, il luogotenente Doriano Furceri. Ore in cui è rimasto tutto immobile, senza nessuna conferma di ciò che era accaduto in quell’edificio. Ore di un nulla interrotto solo da qualche urlo di rabbia che si sentiva arrivare da lontano, mentre si aspettava l’arrivo delle forze speciali per fare irruzione in quella caserma in cui si era barricato il brigadiere. Di tanto in tanto arrivava quasi una eco dal parcheggio sottostante, immerso in un silenzio incredulo.

Della tragedia avvenuta ieri pomeriggio verso le 17, all’interno della stazione dei carabinieri di Asso, per ore non si è saputo nulla. O quasi. Solo la ricostruzione fatta in un primissimo momento dal collega che è riuscito a scappare e mettersi al sicuro. L’aggressione a colpi di pistola sarebbe avvenuta nell’ufficio del comandante, all’interno della caserma di Asso, zona semi montuosa nel cuore del Triangolo Lariano, incastrato tra i due rami del Lago di Como. Un edificio robusto e ampio, sovrastato dagli alloggi in cui da anni vive lo stesso Milia, carabiniere in servizio ad Asso da tantissimi anni, che solo di recente aveva cambiato comando con l’arrivo di Furceri.

A lungo, a nulla sono serviti i tentativi di avvicinare Milia da chi ha oltrepassato i nastri bianchi e rossi di una zona cinturata per motivi di sicurezza: carabinieri soprattutto, ma anche qualcuno che poteva ottenere il suo ascolto. La gente e decine di operanti tenuti a distanza, nel timore che da quelle finestre potesse partire qualche altro colpo. Nel frattempo si moltiplicavano le supposizioni su ciò che potesse essere accaduto dentro quell’ufficio, senza nessuna certezza ufficiale ma con un’unica idea: che Furceri non fosse sopravvissuto a quei tre spari esplosi contro di lui a distanza ravvicinata.

Per le modalità, per il silenzio che ha fatto seguito al ferimento, per la mancanza di risposte di ogni genere da cui potesse scaturire una qualunque rassicurazione. Nel frattempo è stato richiesto l’intervento delle teste di cuoio, arrivate da Livorno in serata, per sbloccare una situazione che non lasciava spazio a nessuna via d’uscita. In costante evoluzione, che si sarebbe potuta risolvere all’improvviso, ogni minuto, senza nemmeno avere la certezza di quante persone e bambini esattamente ci fossero in quell’edificio dove sopra gli uffici ci sono le abitazioni dei militari.