Caos a Cinque Stelle "Uscire o non uscire?" E la telefonata al premier non risolve il rebus

Conte si aggroviglia senza trovare una soluzione. Il Movimento è in tilt . Di Maio soffia sul fuoco: "Vedrete, alla fine voteranno tutti la fiducia". Resta la tentazione di una nuova diaspora tra i parlamentari grillini

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di Elena G. Polidori

Una telefonata. Nessun incontro ma solo una telefonata. Forse. Giuseppe Conte e Mario Draghi, secondo fonti del M5s, si sarebbero sentiti ieri a tarda sera, ma niente è trapelato circa l’esito del colloquio di cui, però, non c’è stata conferma ufficiale.

La posizione, fa notare chi è vicino a Giuseppe Conte, è la stessa espressa ieri ai parlamentari dal leader, reduce da una nottata in ospedale per una reazione allergica dopo la cena di domenica sera: ossia, ora la decisione spetta al premier. E per tutta la giornata di ieri non si è materializzato neanche l’altro "fatto politico" tanto atteso: la fronda dei governisti, pronti a votare la fiducia, che non è diventata una vera diaspora. Anche se Luigi Di Maio continua a soffiare sul fuoco. Il capogruppo del Movimento alla Camera, Davide Crippa, ha ribadito: "Trovo chiaro che se Draghi aprirà ai principali temi posti all’interno dei 9 punti da parte del M5s, diventa ingiustificabile non confermare la fiducia". Il suo messaggio in una delle chat interne dei deputati ha prodotto reazioni decisamente accese da parte dei colleghi che lo accusano di aver tramato contro Conte. E ancor più aspro è stato lo scambio fra Di Maio e il Movimento. "Il direttivo della Camera del gruppo M5s – ha dichiarato il ministro degli Esteri in una riunione di Ipf –, oggi partito di Conte, ha espresso la volontà di votare la fiducia al governo Draghi, al di là della volontà dei vertici". Immediata la smentita da fonti del gruppo dei Cinque stelle a Montecitorio: "Quanto riferito dal ministro Di Maio in riunione col suo gruppo parlamentare, a proposito di una volontà precostituita da parte dei componenti del direttivo del gruppo M5s Camera, non risponde al vero". "M5s Camera non vota fiducia? Finalmente chiarezza – è stata la controreplica dal gruppo di Di Maio –, la linea del partito di Conte ormai è consolidata: diranno no al governo Draghi".

Se effettivamente così sarà – ma a tarda sera di ieri, va ribadito, la linea era ancora non chiara – una ventina di deputati e una manciata di senatori del Movimento sarebbero pronti ad andare contro la linea del partito. Pochi? Troppi? In questi giorni sono usciti allo scoperto come Crippa e il ministro Federico D’Incà, anche Niccolò Invidia, Rosalba Cimino e Maria Soave Alemanno. Altre voci critiche emerse nelle riunioni, come Giulia Grillo, Luca Sut, Vita Martinciglio e Angelo Tofalo, sono comunque intenzionate a seguire la linea del partito. E altri ancora sono nella casella degli indecisi. La conta sarà dunque al momento del voto e darà l’entità della potenziale implosione del Movimento. "Vediamo cosa dirà Draghi – ragiona un senatore da tempo insofferente verso l’operato del governo –. Se ci dirà che le nostre richieste sono giuste, indicando una tempistica di realizzazione, bene. Altrimenti, ciao".

Da più fonti, ieri sera, la sensazione era quella che le trattative si siano svolte sottotraccia, nel tentativo di far accogliere a Draghi almeno alcuni dei 9 punti compilati dal capo M5s su reddito minimo e le altre questioni sociali. I governisti sperano che qualcosa venga concessa e che si possa ricomporre la frattura. Ma molti di loro disperano: "Conte ha già deciso, vuole rompere a prescindere". E sembrerebbe questa la tesi più accreditata nei Palazzi. Lo descrivono come ostaggio nella mani della “trimurti”: Taverna, Ricciardi e Turco. Per non parlare di Rocco Casalino, il più sfegatato a favore di un ritorno all’opposizione, ma ieri silente. E nello stesso tempo, tra i grillini prende corpo l’idea che anche la frase pronunciata da Draghi ("non c’è governo senza M5s") sia ormai ampiamente superata.