Mercoledì 24 Aprile 2024

Culle vuote, l’Italia rinuncia al futuro

Il desiderio frustrato: mancano investimenti sulle coppie e servizi per i genitori che lavorano

Neonato (foto di repertorio)

Neonato (foto di repertorio)

Roma, 11 gennaio 2019 - Non sarà facile uscire dalla ‘trappola demografica’ in cui l’Italia è caduta. Una discesa iniziata negli anni ’90, ma che si sta rivelando strutturale negli ultimi anni. Nel nostro Paese, infatti, nascono ormai meno di mezzo milione di bambini e bambine, 1,34 per ogni donna in età feconda: troppo poco per sperare in un pieno ricambio demografico. Nel 2017 si è raggiunto il record negativo dall’Unità d’Italia: 485mila neonati circa, in attesa dei dati definitivi dell’anno appena chiuso. 

I motivi di questa scarsa natalità sono diversi: l’età del parto avanza sempre di più (32,5 anni di media per le italiane, anche se aumenta in tutta Europa), la stagnazione economica e la precarietà spostano in avanti la decisione delle coppie, che spesso si ritrovano a essere troppo vecchie per avere gli eredi desiderati, i governi si succedono senza mettere come priorità il sostegno alle famiglie, anche perché si rivolgono a un bacino elettorale composto da una popolazione sempre più anziana.

Neppure gli stranieri che arrivano in Italia possono salvarci: nel 2017 i neonati da immigrati sono stati il 14,4% del totale (circa 66mila), non abbastanza per ‘pareggiare’ i conti. Eppure in altri Paesi – come la Francia e le nazioni scandinave – gli effetti delle politiche di stimolo alla natalità e soprattutto la spinta verso servizi che facilitino la conciliazione tra lavoro e genitorialità hanno seminato molto: i frutti si vedranno tra vent’anni, quando la piramide della struttura della società avrà una base molto più solida della nostra.

A fare il punto della situazione, con grande utilizzo di dati e tabelle, è il libro Genitori cercasi –. L’Italia nella trappola demografica (Egea - Università Bocconi Editore) di Letizia Mencarini, professoressa di Demografia all’Università Bocconi di Milano e Daniele Vignoli, che insegna sempre Demografia nell’ateneo di Firenze.

di ANDREA BONZI

Professoressa  Mencarini, perché parla di ‘trappola demografica’? «Il numero di nati è dato sia dalla volontà degli individui a fare figli sia dal numero di potenziali genitori che possono procreare. La bassissima fecondità, che perdura in Italia da quasi trent’anni, ha ridotto il numero di questi ultimi e, dal 1977, le generazioni dei figli sono sempre state meno numerose di quelle dei loro genitori. La trappola demografica è il fatto che le mamme e i papà di oggi sono i nati di una generazione fa. Se la fecondità rimane a 1,3 figli come oggi, ci saranno sempre meno nati». 

Quanti figli servirebbero per il ricambio demografico? «Il ricambio generazionale si ha con qualcosa in più di due figli per coppia. Pochi Paesi europei si avvicinano a questo valore, solo la Francia e le nazioni del Nord. La tendenza alla non sostituzione piena delle generazioni è comune, ma tra fare 1,35 figli a testa e farne quasi due c’è una bella differenza...».

Quanto hanno inciso sul calo la precarietà e la crisi? «Le condizioni lavorative ed economiche dei giovani hanno inciso negativamente, non è solo una questione di reddito ma di prospettive: il 2008, anno dell’inizio dell’impatto della Grande recessione, è stato un momento di cesura, da allora il numero totale di nascite è in calo. Detto ciò, i temi economici e occupazionali hanno inciso per il 30% circa sulla diminuzione dei neonati dal 2008 a oggi. Insomma, non si può attribuire alla crisi economica il calo dei nati in Italia, che parte da lontano e ha una forte componente nella struttura della popolazione». 

E l’immigrazione incide? «L’immigrazione è una realtà che lenisce il calo dei potenziali genitori nel Belpaese, ma da sola non può bastare. Inoltre anche la fecondità delle coppie straniere è in calo e sempre più posticipata ad età elevate». 

Ma il desiderio degli italiani di avere dei figli permane o si è attenuato? «I dati di Eurobarometro confermano che le coppie vorrebbero qualche figlio in più, in media due. Tra le donne italiane dai 25 ai 39 anni, solo il 32% ha già realizzato i propri desideri di fecondità; il 61% pianifica di averne ancora. E sono il 44% le donne tra i 40 e i 54 anni che avrebbero voluto più figli».

Cosa manca in Italia, per spingere la natalità? Quali misure andrebbero prese? «Di certo non sono gli assegni una tantum per i nuovi nati a far crescere la fecondità. In Francia, fin dagli anni ‘50 c’è stata una politica costante rivolta alle famiglie che nessun governo, indipendentemente dall’orientamento politico, ha messo in discussione. In Italia mancano soprattutto servizi e misure per le coppie a doppio reddito ed è particolarmente difficile la conciliazione tra genitorialità e lavoro. Ci vorrebbe poi un cambio radicale di mentalità: il 51% degli italiani (dati Eurobarometro) pensa ancora che il ruolo più importante per una donna sia quello di prendersi cura della famiglia (contro, ad esempio, l’11% degli svedesi), mentre l’uomo porta a casa i soldi. Ma se  confrontiamo le piramidi della struttura demografica per età  al 2040, il gap italiano è evidente: gli anziani – anche per il positivo allungamento della vita media, va detto – saranno sempre di più (uno su tre in Italia, ma uno su quattro in Francia)».

Partiti e sindacati, del resto, pensano al loro bacino elettorale, sempre più largo... «È realistico che sia così. Ma non è lungimirante, come non lo è stato ignorare questi temi nel recente passato: i tempi della demografia sono lunghi ma inesorabili. I figli che non abbiamo fatto non è facile recuperarli, così come gli investimenti mancati sulle famiglie. L’orizzonte della politica è troppo breve: anche per una questione di giustizia, bisognerebbe dare più peso al voto dei giovani».