Calenda-Pd: forse alleati, per adesso rivali

Il leader di Azione si candida e sfida i dem: "Non avete di meglio". Lite sulle primarie. Bordate dal Nazareno. Il nodo è il rapporto col M5s

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di Antonella Coppari

Carlo Calenda ha una carta vincente e la cala subito: concorrenti del centrosinistra per il Campidoglio all’orizzonte non ce ne sono. All’uomo tutto si può rimproverare tranne non parlare chiaro: "Il Pd non ha un suo candidato, deve accontentarsi". Non è la linea più diplomatica, ma è vero che per il Pd sostituirlo con un nome credibile per il comune di Roma sembra un cruciverba irrisolvibile. È questo in fondo che rende la vicenda un po’ surreale. Il Pd infatti insiste per le primarie, lui non ne vuole sapere. Arriva a sparare contro il Nazareno un tweet del fedelissimo Richetti che rilancia una frase di Salvatore Buzzi, simbolo di Mafia Capitale: "Ho portato centinaia di persone a votare. Pagavo i miei operai per farli andare a votare". E scatena un pandemonio: "Discutibile il tentativo di delegittimare le primarie con argomenti stravaganti", insorge il numero due del Pd, Orlando. Il punto non è affidare agli elettori la scelta tra vari candidati, ma mettere in difficoltà il leader di Azione (appoggiato da Italia Viva e + Europa), visto come un intruso o, in alternativa, esigere un suo atto di disciplina e sottomissione formale. La spiegazione presenta, in realtà, diverse sfaccettature: in parte il Pd sopporta davvero poco l’ex ministro considerato arrogante: "Ha lasciato il segno più il suo divorzio dal partito che quello di Renzi", dicono.

Non mancano le considerazioni politiche: Calenda è un candidato forte nelle roccaforti del voto di centrosinistra, i quartieri cioè alti e medio-alti. Quell’elettorato di cui è omogenea espressione e sul quale comunque il Pd conta. Le cose stanno diversamente per quanto riguarda le periferie, riserve di caccia della destra da un’eternità e, nelle ultime elezioni, dei Cinquestelle. È in grado un politico così socialmente e culturalmente connotato (l’endorsement di Lapo Elkann che giudica la candidatura "la migliore per Roma" è oggetto di ironia nel Pd: "Continua il radicamento popolare") di rivolgersi a quel popolo con qualche possibilità id successo? Sarebbe veramente il massimo subire il diktat dell’’estraneo’ per poi perdere la battaglia chiave delle prossime comunali, quelle nella Capitale. "La prossima settimana parto proprio dalle periferie", annuncia Calenda. Ma forse il motivo principale della resistenza del Pd sta nel miraggio, mai del tutto abbandonato, di riproporre anche qui l’alleanza con i Cinquestelle. Missione probabilmente impossibile al primo turno perché il sogno di un passo indietro della Raggi non sembra potersi concretizzare, ma certo le residue speranze svanirebbero di fronte a una candidatura tanto invisa alla base pentastellata quanto quella della sindaca uscente lo è per l’elettorato del Pd. C’è più: persino indipendentemente dalle decisioni del vertice al ballottaggio non ci saranno chance senza l’appoggio degli elettori grillini.

Si ripropone qui lo stesso tema di prima: è in grado Calenda di recuperarli? Lui non fa nulla per accattivarsi le simpatie, anzi assicura di avere due linee rosse, "M5s da un lato, sovranisti dall’altro". E offre un ticket a Fabrizio Barca, con il quale pure litiga spesso. Tutto vero. Ma per il Pd resta il problema impietosamente indicato proprio da Carlo Calenda: un altro candidato in mesi e mesi di ricerca non lo ha trovato e nulla autorizza a pensare che riuscirà a trovarlo.