Lunedì 15 Aprile 2024

Calabresi, il delitto che spaccò l’Italia La lunga fuga di Pietrostefani è finita

Furono lui e Sofri a ordinare di uccidere il commissario. Bompressi venne graziato nel 2006 per motivi di salute

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di Mario Consani

Oggi è anziano e malato Giorgio Pietrostefani, 77 anni, l’ex dirigente di Lotta continua che tornerà in Italia per scontare quel che resta della sua condanna. Maggio 1972, c’è un uomo steso a terra riverso in una pozza di sangue a due passi da un parcheggio, tra la sua Fiat 500 e un’Opel Kadett. Intorno, la gente di via Cherubini è incredula. Quel morto è un poliziotto, anzi, un commissario capo: Luigi Calabresi. Il blitz della polizia scatta solo sedici anni dopo, a fine luglio 1988, un venerdì di sole e spiagge. "Lotta continua, il conto. Clamorosa svolta nelle indagini: arrestate quattro persone".

L’ex leader del gruppo, Adriano Sofri, è accusato del delitto Calabresi insieme a Pietrostefani e Ovidio Bompressi. Tutti e tre si sono sempre proclamati innocenti. A pentirsi dopo tanto tempo, confessando di aver guidato l’auto usata dal commando, è l’ex militante di Lc e operaio Fiat Leonardo Marino. L’ordine di uccidere il commissario Calabresi, dice, partito da Pietrostefani è stato confermato da Sofri. A premere il grilletto quella mattina, aggiunge, è stato Bompressi. Il movente? Il gruppo voleva vendicare la morte in questura, dopo la strage di piazza Fontana, del ferroviere anarchico Pino Pinelli, dalla sinistra attribuita al commissario.

Dopo un’istruttoria complicata, ricca di sospetti sul reale pentimento di Marino e con un teorema d’accusa inevitabilmente indiziario dopo tanti anni, a fine ’89 prende il via il giudizio davanti alla Corte d’assise di Milano. Sarà solo il primo di una serie infinita di processi. A maggio del ’90 gli imputati sono condannati per concorso in omicidio: Sofri, Pietrostefani e Bompressi a 22 anni di reclusione, Marino a 11, grazie allo sconto per il pentimento. Condanne confermate in secondo grado nel luglio del ’91.

Ma nelll’ottobre dell’anno dopo, in un’Italia distratta dalle vicende sempre più sorprendenti dell’inchiesta Mani pulite, la Cassazione interviene annnullando le condanne e ordinando la ripetizione del processo davanti alla Corte d’assise d’appello. Stavolta a fine dicembre ’93 i giudici assolvono tutti gli imputati, compreso Marino, ritenuto non credibile nemmeno quando accusa se stesso. Ma nel maggio 1994 vengono depositate le motivazioni della sentenza definita "suicida", frutto di un compromesso tra i giurati: centinaia di pagine che suonano di condanna prima della virata assolutoria finale. Inevitabile l’annullamento della Cassazione per la seconda volta, con gli atti rimandati a Milano per un terzo processo d’appello.

A fine novembre ’95 il verdetto è ancora di condanna. Non più per Marino però, perché le spaciali attenuanti hanno fatto scattare per lui la precrizione. La terza sentenza della Suprema Corte, nel gennaio ’97, ben 25 anni dopo l’omicidio Calabresi, rende definitive le condanne di Sofri, Pietrostefani e Bompressi a 22 anni di reclusione e la prescrizione del reato per Marino. Il 24 gennaio Sofri e Bompressi entrano in carcere a Pisa. Pochi giorni dopo, Pietrostefani fa ritorno in Italia da Parigi dove vive, e si costituisce.

Non è ancora finita, perché i difensori presentano istanza di revisione del processo sulla base di quelle che ritengono nuove prove. Milano dice no. Intanto ad agosto ’98 a Bompressi i giudici concedono per motivi di salute una sospensione della pena e poi la detenzione domiciliare. A ottobre, è ancora la Cassazione a ordinare alla Corte d’appello un nuovo esame dell’istanza di revisione: stavolta tocca però ai giudici di Brescia, che a marzo del ’99 ripetono il no.

Per la quinta volta interviene la Suprema Corte: nuovo esame dell’istanza davanti alla Corte d’appello di Venezia, che stavolta accoglie la richiesta e apre il processo di revisione. Nel gennaio 2000, però, riecco la conferma – stavolta davvero definitiva – delle condanne. Bompressi sarà graziato dal presidente della Repubblca per motivi di salute nel 2006. Sofri, dopo la cella del carcere di Pisa, la semilibertà e la detenzione domiciliare, ha finito nel 2012 di pagare il suo conto con la giustizia. A Pietrostefani, che è rimasto in carcere solo due anni e mezzo fino al 24 agosto del ’99, pur con indulti vari restano da scontare 14 anni, due mesi e undici giorni. Sarà la legge italiana, come per tutti i cittadini, a stabilire il modo.