Giovedì 25 Aprile 2024

Cadono i tabù Stop alla perfezione dei selfie Tutti i corpi sono da spiaggia

Il mito della bellezza priva di difetti sembra al tramonto. Sdoganate pancette, smagliature e cicatrici. Sulla scia della campagna di sensibilizzazione condotta dal governo spagnolo per apparire come si è

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di Davide

Rondoni

Il brillante signor avvocato che senza camicia appare pallido in petto, scavato di scapole, dotato di pancetta, la ben truccata ragazza che non ha evitato le smagliature, la spumeggiante cinquantenne che non può fronteggiare la legge di gravità, il pensoso intellettuale penosamente glabro nei polpacci o sul petto... Gloria dei corpi reali sulle nostre spiagge. Già lo scorso anno, dopo mesi di clausura, la festa grottesca dei corpi liberati e spiaggiati mi fece quasi venire le lacrime di risa e pianto. Nell’epoca dei profili ben studiati, delle fotine in posa, dei look manager, degli influencer sempre carini e a posto, eccoli i corpi veri, i realissimi corpi che siamo noi, questa cosa strana che chiamiamo corpo, ed è il primo segno del paradosso che è la vita umana. Cosciente del suo corpo, il nostro “io” sa anche che nessun particolare del corpo lo contiene, e che pure la totalità del nostro essere non è solo corpo. Infatti non abbiamo solo sofferenze e gioie fisiche, non abbiamo solo estasi della carne, e non solo pene alla rotula. E nonostante questo, il corpo è il nostro ospite e al tempo stesso la nostra casa, e il nostro mulo, come diceva san Francesco.

Siamo noi e non siamo noi. Strano paradosso! E infatti pure guardando lo spettacolo non di rado grottesco dei corpi spiaggiati viene da chiedersi: siamo questi? Occorre abitare questo paradosso. E fare eco, pure sorseggiando un the freddo o maneggiando un Calippo, alla grande domanda di Leopardi: "E io che sono?". Siamo nell’epoca in cui il corpo è da un lato idolatrato, esposto, oggetto di mille attenzioni cosmetiche, curative, coccole, nonchè al centro di imponenti campagne di marketing e di slogan sociali, per quanto a volte contradditori. Lo si celebra e innalza, se ne è fatto oggetto d’arte, e d’altra parte, contemporaneamente, è il centro di sofferenze segrete, spesso sfuggenti che in molti, troppi giovani divengono disturbi, mancanza di accettazione, vero e proprio rifiuto. Come se questa parte non mentale, non astratta, non spirituale del nostro essere diventasse scomoda, ingestibile, fastidiosa.

Viviamo prodigi della medicina che sa prendersi cura dei nostri corpi, anche se allo stesso tempo il corpo malato, il corpo estremamente sofferente è uno scandalo che vorremmo strapparci da davanti agli occhi, dalla società, dai budget sanitari. Perciò evviva il gran teatro dei corpi in spiaggia, teatro della nostra povera gloria umana, quella gloria che non assomiglia ai lustrini della società dello spettacolo o della fuggevole comunicazione mediatica. Evviva il teatto reale dei corpi che sono anche anime, della nostra bellezza vera che è l’ardere di anime e spiriti in carne e ossa, non importa se graziosi come vogliono i presunti maestri del gusto dominante. E così come apprezziamo la sincerità dei corpi che non si celano, d’altra parte apprezziamo la cortesia di corpi che non si propongono volgarmente, che non fanno di imperfezioni evidenti banale esibizione. Evviva l’arte di avere corpo.