Fra caciocavalli e populismi

Flat tax e patrimoniale

Il bon ton dice che a tavola non si dovrebbe mai parlare di soldi e di politica. Non vale per le tavole della campagna elettorale, imbandite di argomenti prelibati per gli appetiti degli elettori. Come le tasse. È chiaro, per esempio, che tra flat tax e patrimoniale non c’è partita. La prima promette il sogno di tutti: pagare meno. La seconda promette giustizia sociale e redistribuzione della ricchezza. La prima si infrange con la realtà di un Paese che ha oltre 2.300 miliardi di euro di debito pubblico. La seconda contro ciò che è evidente a ogni contribuente: in Italia di patrimoniali ce ne sono almeno una quindicina. Imu e bolli, per esempio. I detrattori avranno gioco facile a dire che la flat tax, per esempio, violerebbe il principio della progressività dell’imposizione in base al reddito, ma forme di questo tipo sono già in vigore. La levata di scudi contro le patrimoniali è persino più agevole, anche se sarebbe corretto chiedersi quale reazione si sarebbe avuta durante la pandemia se qualcuno avesse chiesto una misura simile per sostenere la sanità e gli ospedali. Giusto per sottolineare che Tommaso Padoa-Schioppa non aveva del tutto torto a sostenere, provocatoriamente, che "le tasse sono una cosa bellissima". Il dibattito è aperto e scandirà i sogni di queste notti di mezza estate. Destinati a scolorire con la luce dell’alba, alla prova dei numeri: in Italia la pressione fiscale reale, secondo i commercialisti è attorno al 49%, la spesa pubblica è l’araba fenice che risorge dalle ceneri di ogni spending review. L’evasione fiscale ha superato i 1.100 miliardi di euro. Del debito pubblico si è detto. Numeri che misurano la distanza tra idee e realtà. Idee che Benedetto Croce raccontava alla cuoca – parlando di Platone – come "caciocavalli appesi". Figure senza braccia e gambe per camminare nella realtà. Come i caciocavalli da populismi fiscali.