Mercoledì 24 Aprile 2024

Caccia in parlamento ai furbetti del bonus Lo sdegno è bipartisan: ora si dimettano

Secondo l’Inps cinque deputati hanno chiesto e ottenuto i 600 euro delle partite Iva: tre leghisti, un grillino e un renziano. Mistero sui nomi.

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I più indignati sono i ministri. E tuttavia all’origine del fattaccio c’è proprio una misura varata dal governo: l’indennità di 600 euro mensili (poi elevati a 1.000) prevista dai decreti Cura Italia e Rilancio ed erogata a marzo e aprile a tutti i possessori di partite Iva, a prescindere da quanto guadagnassero e da eventuali danni subiti per la crisi legata alla pandemia. Bastava una semplice domanda telematica per ottenere il bonus, che è stata chiesto da più di 4 milioni di cittadini. Tra questi, anche 5 deputati – tre sarebbero della Lega, uno di M5s e uno di Italia Viva – un conduttore tivù e centinaia tra assessori e consiglieri regionali, sindaci e qualche governatore. La scoperta della direzione antifrode, anticorruzione e trasparenza dell’Inps, creata dal presidente Pasquale Tridico (per ragioni di privacy non svela i nomi) e rilanciata da Repubblica scatena una bufera politica.

Malgrado il coinvolgimento di un grillino ("Per me è già fuori da M5s", tuona Crimi), nessuno nel Palazzo urla più forte di Luigi Di Maio: "Non gli bastavano i 13mila euro netti di stipendio, tutti i benefit e i privilegi di cui godono. Siamo pronti a ogni iniziativa parlamentare per svelare i nomi. Devono uscire allo scoperto, chiedere scusa e dimettersi". C’è chi sospetta che tanta veemenza nasca dalla convinzione che l’incidente aiuti il referendum sul taglio dei parlamentari. Ma Zingaretti, meno direttamente interessato alla consultazione in cui i pentastellati si giocano tutto, è appena più cauto: "È una vera vergogna il bonus ai deputati".

Dai social ai palazzi della politica, il coro è univoco: "Questi 5 deputati chiedano scusa e restituiscano quanto hanno percepito. È una questione di dignità e di opportunità", scrive su Facebook il presidente della Camera, Fico. In attesa che qualcuno faccia outing, all’orizzonte non ci sono sanzioni né richiami parlamentari. "È una porcheria", taglia corto Marattin (Iv) mentre il collega Anzaldi chiede all’Inps di "fare trasparenza, invece di sparare nel mucchio, gettando discredito su tutto il Parlamento". L’opposizione, imbarazzata perché la palma dei furbetti, almeno a livello parlamentare, è proprio del Carroccio, non è da meno: furibondo Salvini promette la "sospensione immediata" di chi è coinvolto. Chiede le dimissioni dei deputati ma anche dell’esecutivo che ha fatto il decreto, e di chi nell’Inps ha erogato il bonus. Durissima Giorgia Meloni (Fd’I), che sottolinea lo "squallore" di una vicenda fatta da "deputati avidi e governo incompetente, su cui chiediamo chiarezza". Altrettanto netti i forzisti: "I 5 deputati hanno compiuto un atto ignobile – tuona Andrea Cangini – ma è più colpevole il governo che ha ha dato questa possibilità a tutti distribuendo soldi che non ha".

La furia contro i parlamentari, ma anche contro i furbetti eletti negli enti locali, è comprensibile. Il problema, tuttavia, è a monte: nella scelta di non esercitare alcun controllo. Scelta ferocemente criticata a suo tempo da alcuni esponenti della maggioranza, come Loredana De Petris (LeU) presidente del gruppo misto del Senato. Decisione peraltro in netto contrasto con i controlli rigorosissimi esercitati invece sulle richieste di accesso al reddito di emergenza. Un pettine a denti tanto fitti che, alla fine, rispetto alle previsioni del governo i richiedenti sono stati solo un terzo.

Il nodo dovrà inevitabilmente essere affrontato in quelle "intese tecniche" che dovranno caratterizzare il decreto Agosto. Vero è che il bonus per gli autonomi dovrebbe già prevedere paletti più rigidi (a maggio è stato introdotto un tetto: poteva essere erogato solo a chi dimostrava di aver avuto un pesante calo di fatturato), ma probabilmente lo diventeranno ancora di più. Resteranno invece rigorosi i criteri per l’accesso al Rem.

Antonella Coppari