Caccia ai genitori "Possiamo arrestarli" L’Interpol è pronta ma il Pakistan sta fermo

Il ministero della Giustizia italiano ha inviato il mandato di cattura. Ma il governo di Islamabad non ha mai risposto all’Italia. Estradizione bloccata, solo un’intesa tra governi può dare la svolta

di Alessandro

Farruggia

La strada per ottenere l’estradizione di Shabbar Abbas e di sua moglie Nazia Shaheen è dannatamente in salita e solo un accordo politico a livello di ministeri degli Esteri o, meglio, di premier potrebbe cambiare questo stato di cose. La palla passa al prossimo governo, che potrebbe porre il problema nell’ambito dei rapporti bilaterali tra i due Paesi facendone una pedina di scambio di accordi più ampi e di interesse anche pakistano. Da notare che il nuovo premier pakistano, Sherbaz Sharif, è stato per ben tre volte chief minister – governatore – del Punjab. Quindi ha un legame diretto con il territorio dove si nascondono Shabbar Abbas e Nazia Shaheen. Il che può essere una buona cosa o il suo esatto contrario.

Dove siano i due accusati di avere ucciso la loro figlia è noto: nlella città di Mandi Bauaddin, nel nord del Punjab, dove contano su una estesa rete di protezione. La rete nn potrebbe nulla nel caso di decisione del governo, ma funziona benissimo per proteggerli sino ad allora. Ministero della Giustizia, Farnesina e Viminale hanno fatto quanto potevano fare, considerando che tra i due Paesi non esiste un accodo bilaterale di estradizione (e non esiste anche perché l’Italia non ritiene che ve ne siano le condizioni, non fidandosi abbastanza del sistema giudiziario pakistano da consentire l’estradizione di un italiano perché sia processato lì).

Ai sensi della legge pakistana sull’estradizione, che è del 1972, la procedura è comunque possibile, ma passa da una valutazione caso per caso del governo, che per consentirla deve emettere un decreto che va in Gazzetta Ufficiale.

Il governo italiano ha cercato di non lasciare nulla di intentato per arrivare a questo. Il 7 luglio i nomi dei due sono stati inseriti della banca dati Interpol e il procuratore generale presso la corte d’appello competente, quello di Bologna, ha quindi chiesto al ministero della Giustizia una procedura ai sensi dell’articolo 720 del codice di procedura penale. L’atto è stato redatto e firmato ed è stato inviato al segretariato generale Interpol che ha sede a Lione e che ha sua volta ha emesso un red notice, il livello più alto dei mandati di cattura internazionali dell’Interpol. Il 23 settembre 2021 il ministero della Giustizia ha quindi presentato al Pakistan – debitamente tradotta – una richiesta di arresto provvisorio (primo passo di una successiva richiesta di estradizione, possibile solo dopo il fermo).

Da allora poco è successo. Il 16 febbraio l’ambasciatore pakistano in Italia, Jauhar Saleem, un diplomatico molto stimato tra le feluche europee, ha detto che la richiesta era stata approvata "in via di principio" e che "le procedure, secondo quanto previsto dal quadro giuridico pakistano, sono in via di completamento". Sette mesi dopo non è giunta notizia né al minsero della Giustizia né al ministero degli Esteri che la procedura sia stata completata. Ci sono stati contatti a livello di organi di polizia (compreso lo scambio di informazione sulla residenza dei genitori di Saman), ma è mancato l’input politico. E in assenza di un accordi bilaterali sull’estradizione che renderebbe in qualche modo ’automatico’ il fermo, e poi inevitabile un pronunciamento di una corte pakistana sull’estradizione, tutto è sostanzialmente fermo.

Shabbar e Nazia sono sostanzialmente liberi nella loro città, formalmente protetti da documenti falsi ma noti a tutte le autorità di polizia pakistane. Contano sull’impunità. Prenderli sarebbe facilissimo e agenti di polizia giudiziaria italiana sarebbero pronti ad accompagnare la polizia pakistana nell’arresto. Ma serve la volontà politica pakistana. Dipenderà dal premier Sherbaz Sharif e dal futuro primo ministro italiano trovare una strada per fare giustizia.