C’è Draghi ma non c’è (ancora) il suo governo Lega e Cinquestelle divisi, numeri in bilico

Tra i partiti no netto solo dalla Meloni. Sì di Pd, Leu e IV. Incerti gli altri. Da sciogliere il nodo principale: profilo politico o tecnico?

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di Antonella Coppari

 

Risolve problemi. Proprio come Mister Wolf, l’iconico personaggio del film Pulp Fiction. E ne ha di gatte da pelare Mario Draghi, che ieri mattina ha raccolto la sfida di formare un nuovo governo. Di ’no’ espliciti, dopo che è salito al Colle e ha accettato con riserva l’incarico che gli ha affidato Sergio Mattarella, quasi non ne arrivano: il fatto, però, è che, al momento, i sì sono quasi altrettanto scarsi.

Abituato alle difficoltà, non si scompone, manifesta la sua "fiducia" di poter far nascere l’esecutivo nel segno dell’unità evocata dal capo dello Stato e di poter dare "risposte all’altezza della situazione difficile". Segnata da una crisi sanitaria che "colpisce la vita delle persone, l’economia e la società".

L’ex presidente della Bce dice che è pronto ad accogliere nella squadra chi vorrà rimboccarsi le maniche assieme a lui. Si rivolge innanzitutto al Parlamento: comincerà a consultare le forze politiche questo pomeriggio. Ma promette il dialogo con le forze sociali, aprendo così a una stagione di concertazione con imprese e sindacati.

Il Pd risponde all’appello, Italia viva l’aveva già fatto l’altro ieri, mezzo secondo dopo che il capo dello Stato aveva pronunciato il suo nome. Le buone notizie nei palazzi della politica si fermano qui, malgrado l’entusiasmo che raccoglie in tutto il mondo (e anche fra i vescovi italiani) l’incoronazione di Draghi. Pure la Borsa apprezza: lo spread Btp-Bund chiude in calo, a quota 103 punti. M5s piega il pollice all’ingiù, senza comunque escludere una non troppo benevola astensione: dopo un lungo colloquio a Palazzo Chigi con il presidente uscente Conte, circola per ore la voce di un possibile incarico ministeriale per l’avvocato pugliese, che spingerebbe i pentastellati a più miti consigli. Dario Franceschini (Pd) azzarda una previsione spericolata: "Sarà proprio Conte a portare i 5 Stelle da Draghi". L’indiscrezione viene smentita, Giuseppe fa filtrare che "comunque" non accetterebbe e il mood dei pentastellati non cambia: "Vogliamo mantenere il percorso comune con la sinistra, ma sul presidente incaricato la pensiamo diversamente", avverte Crimi.

Persino LeU appare divisa in due: più possibilista l’area di Speranza e Bersani, Articolo 1; non proprio ostile (ma quasi) la Sinistra italiana di Fratoianni. Ma la partita stavolta si gioca essenzialmente nella metà campo della destra. È da lì – e solo da lì – che possono arrivare i voti necessari per garantire una vera maggioranza. Berlusconi è pronto, ma esita a fare il grande passo di fronte a una spaccatura del centrodestra che ne sarebbe conseguenza inevitabile.

Giorgia Meloni infatti lo ripete per tutto il giorno: non voteremo il governo Draghi, tutt’al più possiamo astenerci, ma solo se lo fa l’intera coalizione. Salvini è strattonato in direzioni opposte dal partito del Nord e da quello anti-euro: insomma, sul voto della destra la mano sul fuoco Super Mario non può metterla.

Decisivo potrebbe essere il fattore tempo: se al governo venisse applicata una ’data di scadenza’, tale da garantire l’apertura delle urne prima dell’elezione del prossimo presidente della Repubblica, il sostegno della destra arriverebbe di certo. Escluso: la Costituzione lo vieta. Mattarella non ci pensa affatto con un Recovery plan da condurre in porto e un Paese fiaccato dalla crisi, e lo stesso Draghi non accetterebbe un simile ruolo.

In queste condizioni diventa pressoché impossibile persino scegliere che modello di governo perseguire. Se puramente tecnico oppure tecnico-politico. In materia, nel lungo colloquio al Colle, al momento dell’incarico il presidente della Repubblica ha lasciato a Draghi totale libertà di manovra, oltre a tutto il tempo necessario per formare il governo. Ma optare per un modello senza chiarezza sulla posizione dei partiti è impossibile.

Si affaccia così lo schema scomparso dai radar fin dai tempi della prima Repubblica: un esecutivo di minoranza, con pochi voti di fiducia ma quasi nessuno all’opposizione. Una sorta di ’fiducia travestita’ che permetterebbe a Draghi di andare avanti e ai vari partiti di salvare le loro posizioni di bandiera. Non è una formula esclusa a priori, ma nemmeno facilmente applicabile. Il sostegno, pur se di minoranza, dovrebbe comunque essere corposo e, per questo, sono necessari sia la piena adesione di FI e dei gruppi minori del centrodestra, sia la ribellione alla decisione del Movimento e il voto in dissenso di una parte di grillini.

In caso contrario, affrontare scelte destinate a incidere per decenni sarebbe impossibile, e probabilmente lo stesso Draghi dovrebbe gettare la spugna aprendo le porte a quelle elezioni che il capo dello Stato ha disegnato con tratti apocalittici. In definitiva, a 24 ore dal discorso choc di Mattarella, tutto è essenzialmente nelle mani di un solo partito: la Lega di Matteo Salvini.

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