
Donne con il burqa in piazza Duomo
ROMA, 21 agosto 2016 - COPRONO completamente il volto, ma in Italia sono autorizzati dalla clausola di legge che prevede il «giustificato motivo»: quello religioso e culturale. Si tratta del burqa e del niqab, abiti indossati dalle donne musulmane, sempre più al centro della polemica politica. La legislazione italiana non è precisa sul punto: proibisce di girare in pubblico col volto coperto, ma la giurisprudenza ha espressamente escluso questi indumenti tra quelli vietati. IL PRIMO chiarimento al riguardo è arrivato nel 2000 con una circolare del ministero dell’Interno in cui si precisa che «il turbante, il ‘chador’ o anche il velo sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono, nel loro insieme, a identificare chi li indossa». Quindi il loro utilizzo è consentito anche nei luoghi pubblici. Un punto di svolta si è avuto con la sentenza del Consiglio di Stato del 2008, che ha dichiarato «illegittima» l’ordinanza emessa nel 2004 dal sindaco di Azzano Decimo, in provincia di Pordenone. Il primo cittadino aveva ordinato agli abitanti di adeguarsi al divieto di «comparire mascherati in pubblico» e «di rendere difficoltoso il riconoscimento». Aveva sottolineato che rientravano nel divieto «i veli che coprono il volto»: in sostanza un’ordinanza anti-burqa. Il prefetto di Pordenone, sentito il parere del ministero, ha annullato l’ordinanza; il sindaco ha fatto ricorso al Tar e, poi, al Consiglio di Stato. Ma in entrambi i gradi gli è stato dato torto perché «ha fornito una (errata) interpretazione della legge», spiega la sentenza, aggiungendo che l’utilizzo del burqa «generalmente non è diretto a evitare il riconoscimento, ma costituisce attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture». A questo si aggiungono pronunciamenti di vari tribunali che hanno assolto donne con il burqa «perché il fatto non sussiste». La prima sentenza è arrivata nel 2005 dal tribunale di Treviso che ha fatto valere la clausola del «giustificato motivo», ovvero quello religioso e culturale. Ciò non ha impedito ad altri sindaci di emettere ordinanze (poi annullate) analoghe a quella di Azzano Decimo: è avvenuto a Drezzo (Como), Cantù in Brianza, Camerata Cornello e Costa Volpino (Bergamo), Treviso, Alassio (Savona), Varallo Sesia (Vercelli). Ma com’è la legislazione in Europa? Solo la Francia, dal 2010, e il Belgio, dal 2011, hanno vietato il burqa e il niqab in luoghi pubblici. La norma francese, che ha fatto da apripista, ha passato il vaglio di legittimità del Conseil costitutionnel e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: «Il divieto del burqa non viola la libertà di religione e rispetto dalla vita privata». La Germania, che attualmente sta valutando se vietare il burqa, in alcuni Länder, ha già proibito agli insegnanti (e in un paio di casi anche ai dipendenti pubblici) di indossare «abbigliamento religioso». In Spagna, come in Italia, esiste già una legge che vieta l’accesso negli edifici pubblici con il volto coperto: una norma contro il terrorismo dell’Eta, non applicata a burqa e niqab.