Giovedì 18 Aprile 2024

Brusca torna libero dopo 25 anni Maria Falcone: "Un grande dolore"

Fine pena per il fedelissimo di Riina che premette il telecomando della strage di Capaci nel 1992. L’ex capomafia poi pentito esce da Rebibbia con 45 giorni d’anticipo. I familiari delle vittime: vergogna

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di Nino Femiani

Torna libero dopo 25 anni l’uomo del tritolo di Capaci. Giovanni Brusca, 64 anni, uno dei più sanguinari killer di Cosa Nostra, è da ieri sera fuori le sbarre del carcere di Rebibbia. Al ’verru’ (il porco, come lo bollarono i picciotti corleonesi) è stato concesso anche un abbuono di 45 giorni rispetto alla scadenza della pena.

La Corte d’Appello di Milano ha deciso che per quattro anni resterà in libertà vigilata, sottoposto a controlli e anche alla protezione vista la collaborazione fornita ai magistrati siciliani, a cui ha raccontato la strategia del terrore di Cosa Nostra, la follia stragista di Totò Riina e la collusione con pezzi dello Stato, grand comis e imprenditori. Brusca è stato scarcerato per effetto della legge 13 febbraio 2001. Normativa che offre sconti di pena a chi come lui è importante nella lotta alla Piovra. Una legge fondamentale, sostenuta paradossalmente anche da Giovanni Falcone, la sua vittima più celebre. Brusca non è però un mafioso come altri. Il ’verru’, nato e cresciuto a San Giuseppe Jato, ha trascorso 40 anni di vita a pane e mafia, tra lupare e vendette. Già da ragazzino aveva aderito alla cosca del padre, il boss Bernardo Brusca, che lo aveva fatto crescere nella considerazione dei boss corleonesi, Luciano Liggio, Michele Greco e poi Riina. Una crescita nella gerarchia di Cosa Nostra che gli aveva fatto guadagnare i galloni per premere il telecomando nella strage di Capaci, costata la vita a Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Un killer sanguinario e spietato che non si fermava neppure davanti agli innocenti. È il caso dell’uccisione del piccolo Giuseppe, 15 anni, figlio del pentito Santino Di Matteo. Il ragazzo, rapito il 23 novembre del 1993 da un commando di mafiosi travestiti da agenti della Dia, fu tenuto in ostaggio in un casolare di San Giuseppe Jato per convincere il padre a ritrattare le dichiarazioni ai giudici. Quando Santino decise di mantenere il punto, Brusca strangolò e poi sciolse il suo corpo nell’acido. Dopo di allora gli affibbiarono il soprannome di "scannacristiani". Brusca è anche noto per altri omicidi eccellenti, oltre quello di Falcone. A vario titolo ha partecipato alla morte del giudice Rocco Chinnici (Palermo, 29 luglio 1983), all’esecuzione del commissario Giuseppe Montana (Santa Flavia, 28 luglio 1985), al massacro del vicequestore Ninni Cassarà (Palermo, 6 agosto del 1985).

A lui vengono attribuiti delitti eclatanti, come quello di Ignazio Salvo. Proprio dopo l’omicidio di quello che veniva considerato una sorta di "intoccabile", il mafioso fu stanato in una villetta di Agrigento, finendo agli arresti il 20 maggio 1996. La collaborazione di Brusca ha sempre suscitato polemiche.

Il suo percorso, sia da criminale che da "aspirante collaboratore" è stato tortuoso. Pochi giorni dopo il suo arresto, aveva attuato un piano diabolico: fare finta di collaborare e propinare le sue "polpette avvelenate" a magistrati e investigatori. Raccontando soprattutto di rapporti tra mafia e politica e di un suo incontro con un’alta personalità dello Stato per organizzare un attentato ad Andreotti.

Non era vero nulla, il suo obiettivo era solo quello di depistare e avvelenare i pozzi. Fu indagato per calunnia. Dopo l’arresto e il pentimento del fratello Enzo, Giovanni prese davvero a collaborare evitando così anche l’ergastolo. "Ho commesso e ordinato personalmente oltre 150 delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento".

Da ieri Brusca è un uomo (quasi) libero. Amaro il commento di Maria Falcone, sorella di Giovanni: "Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata". Ma in serata si leva un coro dal mondo politico. "La scarcerazione di Brusca è una vergogna per l’Italia intera", si scagliano Giorgia Meloni e Matteo Salvini, rispettivamente leader di Fd’I e della Lega. Mentre la vedova di Antonio Montinaro, capo scorta di Falcone, Tina, parla di "offesa grandissima, l’Italia s’indigni". Duro anche Capitano Ultimo, l’ufficiale dei carabinieri che, nel 1993, arrestò Riina: "Brusca fa il suo gioco, nulla di nuovo le istituzioni devono fare la loro parte. Il presidente Mattarella non ci abbandonerà in questo degrado".