Bologna, i portici e quell’aria di casa "Accoglienti eppure così misteriosi"

L’Unesco proclama patrimonio dell’Umanità il simbolo del capoluogo emiliano: sono un modello di socialità. Stefano Accorsi: "Esprimono l’ambivalenza di una città che ti abbraccia ma non rinuncia ai suoi segreti"

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di Claudio Cumani

Che cosa ricorda, un bolognese doc come Stefano Accorsi, costretto ad allontanarsi da ragazzo dalla città per inseguire un sogno d’attore, dei portici della sua infanzia? "Mi vengono in mente quelli della chiesa dei Servi durante le festività di Natale – risponde –. Le bancarelle, le passeggiate con i miei genitori, il clima che si respirava. Mi colpiva molto però anche il tratto di Strada Maggiore dove erano conficcate tre frecce negli archi superiori. Sono immagini a cui sono sempre rimasto legato".

Accorsi, impegnato a Roma sul set della serie tv Vostro onore, è fino al 2022 testimonial della Regione Emilia-Romagna per le città d’arte e i percorsi cinematografici: un lavoro che sui profili social (oltre 800mila follower) sta riscuotendo un successo assai superiore alle attese. "In questo lavoro – spiega – c’è molta Bologna: abbiamo girato in piazza Maggiore, al Comunale, in via Zamboni". Rivendica le sue radici ("Ho vissuto fino a 16 anni nel quartiere San Vitale prima che la mia famiglia si trasferisse in provincia"), racconta di vivere a Milano per questioni logistiche e ovviamente gioisce per il riconoscimento dell’Unesco.

Accorsi, è vero che i portici, come sostiene certa letteratura, proteggono ma al tempo stesso incutono timore per il mistero che contengono?

"È proprio quest’ambivalenza che mi affascina, Bologna è una città segreta e i portici lo dimostrano. Visto che la vita è complessa, perché un luogo non deve racchiudere una cosa e il suo contrario? I portici comunque ti accolgono, ti abbracciano, ti fanno sentire a casa. Creano un grande rapporto di familiarità. Mi vengono in mente chiacchierate, notti fra amici, bevute".

Quindi, come cantava Guccini, continuiamo a essere ‘cullati dai portici cosce di mamma Bologna’?

"Anche in questo c’è un’ambivalenza interessante. Quelle arcate, che ci possono nascondere e proteggere, comunicano al tempo stesso un aspetto sensuale ma anche materno. Del resto un tempo c’erano zone della città, come il Pratello, dove i porticati di giorno accoglievano le famiglie e di notte ospitavano un’umanità ben diversa".

Ha girato alcune scene di Jack Frusciante è uscito dal gruppo lungo il porticato di San Luca. Che sensazione ebbe?

"Nel film scendevo con una macchinetta lungo la ripida discesa e mi ritrovavo al bar sottostante al Meloncello a chiacchierare con Freak Antoni, un artista straordinario che continuo a ritenere sottovalutato. San Luca, con quel portico più lungo del mondo a forma di serpente e i suoi 666 archi sovrastato dall’effigie della Madonna, è un luogo fortemente simbolico".

Il riconoscimento suggerisce che Bologna dovrebbe fare ancora di più per affermarsi?

"Bisognerebbe contrastare un certo understatement e che, se posso usare questo termine, dovremmo essere più ‘sboroni’. Ci sono esperienze straordinarie forse tenute troppo in sordina che andrebbero comunicate maggiormente. Detto questo, a Bologna come in Emilia-Romagna, ci sono sostanza, qualità e capacità di godersi la vita".

Lei però se ne è andato...

"Sono dovuto scappare, è una città che ti abbraccia e ti fa spaventare per quello che c’è fuori. È incontestabile però che esistono eccellenze come la Cineteca e luoghi straordinari. A volte mi capita di camminare da solo lungo via Pescherie Vecchie per arrivare a piazza Maggiore: è una strada bellissima che facevo quando, durante i ’fughini’ scolastici, uscivo dalla sala degli Amici del biliardo. Bologna, oltre i portici, è anche questo".