Blocco totale o lockdown soft alla svedese. Mortalità del coronavirus è sempre la stessa

L’epidemiologo Ciccozzi: "A Stoccolma l’età media più bassa e la minor densità di popolazione compensano il poco rigore". In Germania tassi migliori dei nostri perché il tracciamento dei contagi è stato più puntuale e c’erano più terapie intensive

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Strategie di prevenzione diverse, mortalità a oggi simile. Il dato di Italia e Svezia – la prima che ha scelto un lockdown rigoroso, la seconda fautrice di un approccio molto soft – sono nel dato grezzo sorprendentemente e paradossalmente molto vicine. Spagna e Gran Bretagna hanno dati di mortalità leggermente peggiori dei nostri. Ma Paesi contro il lockdown come Usa e Brasile, con molti più casi per milione di abitanti, circa tre volte i nostri, hanno mortalità leggermente migliori. Meglio anche la Francia, molto meglio la Germania, la Danimarca e la Russia, molto peggio il Belgio. Come mai? La spiegazione è complessa.

"Non c’è dubbio – osserva il professor Massimo Ciccozzi, epidemiologo del Campus Biomedico di Roma – che il virus ha colpito dappertutto praticamente allo stesso modo, pur in un contesto nel quale è mutato e ha perso progressivamente vitalità, contagiosità e letalità. Paesi come Italia e Svezia hanno una mortalità simile nonostante abbiano scelto strategie diverse, e questo per un complesso di ragioni. Ad esempio in Svezia l’età media è più bassa e la densità di popolazione inferiore, e questo ha compensato il lockdown meno rigoroso. E che l’età media della popolazione molto inferiore abbia ben compensato lockdown blandi o anche sostanzialmente inesistenti lo si vede anche in paesi come il Brasile".

"Chi ha fatto meglio come la Germania – prosegue il professor Ciccozzi – è perché ha investito moltissimo nella sanità di territorio e nelle terapie intensive e perché ha fatto un ottimo tracciamento dei contatti. Questo ha pagato, anche se anche qui come in Spagna occorrerà vigilare su una ripresa dei contagi, della quale si vedono alcuni segnali, e che richiama alla necessità del distanziamento sociale". "I conti di una epidemia – osserva Giovanni Sebastiani, ricercatore statistico dell’Iac-Cnr – si fanno alla fine. Paesi come la Svezia, come la Gran Bretagna e a maggiore ragione le Americhe, hanno avuto l’epidemia in ritardo rispetto a noi, quindi il dato andrebbe confrontato a parità di giorni di epidemia. Quanto all’efficacia delle misure di prevenzione basta confrontare la Svezia con le vicine Norvegia e Finlandia che hanno scelto di fare il lockdown. E qui vediamo che se la prima ha una mortalità per milione di abitanti di 567, la Norvegia lo ha di 47, la Finlandia di 59. Quindi il lockdown ha pagato eccome".

"L’analisi dei dati – osserva Patrizio Pezzotti, responsabile del reparto di epidemiologia dell’Iss – è complessa e non ci sono risposte facili. Rispetto alla mortalità attualmente simile tra Svezia e Italia uno dei fattori che ha inciso è il fatto che l’età media della popolazione della Svezia è inferiore alla nostra e sappiamo che questo virus è fortemente legato all’età. Ma la mancanza di lockdown ha pagato, come si vede anche in Inghilterra, dove il virus è arrivato in ritardo rispetto all’Italia ma il tasso di mortalità è già oggi superiore del 17%. In Germania invece hanno avuto tassi di mortalità molto più bassi dei nostri perché sono stati bravissimi a fare il tracciamento delle catene di trasmissione e perché potevano contare su molte terapie intensive, il che gli ha permesso di evitare un collo di bottiglia che si è visto ad esempio in Lombardia nella fase più acuta e rispondere meglio, abbassando la mortalità". "Per fare un conto reale – prosegue Pezzotti – bisognerà vedere a epidemia finita la mortalità in eccesso rispetto alle medie quinquennali. In Italia abbiamo notato un eccesso di mortalità maggiore rispetto ai morti identificati come causati da Covid-19. In altri Paesi poco sviluppati, o nei quali non esiste un sistema sanitario pubblico e non tutti hanno accesso ai test e alle cure è probabile che lo scostamento sia ben più alto".

"Gli esiti di una epidemia – osserva lo storico della medicina Giorgio Cosmacini – sono determinati da una causa e da una serie di concause, diverse da Paese a Paese. Per questo la distribuzione delle affezioni virali è sempre eterogenea. Il virus è un camaleonte, cambiando in meglio o in peggio, e non a caso la Spagnola fu chiamata ‘epidemia sfinge’ perché non si capiva come evolvesse. Da allora la medicina ha fatto enormi passi in avanti dal punto di vista delle terapie, ma sul piano della prevenzione possiamo dire lo stesso? Chiediamocelo. Certo, il virus fa i conti con la realtà e colpisce dove trova dei punti deboli. Certo è che il comportamento umano è una componente molto importante e le misure di prevenzione ben implementate possono ridurre di molto una epidemia". "Se non avessimo fatto il lockdown – sostiene Pezzotti dell’Iss – noi che siamo stati investiti per primi e con grande forza avremmo avuto un numero di morti molto più alto, probabilmente più che doppio".