Giovedì 18 Aprile 2024

Bloccare i licenziamenti non basta

Raffaele

Marmo

La proroga del blocco dei licenziamenti, selettiva o più generale che sia, può essere il male minore per evitare di alimentare nuove e più incontrollate paure. Ma, perché serva davvero e non si risolva nell’ennesima dose di metadone sociale, sarebbe dirimente che il governo e il sindacato assumessero l’impegno concreto per una riforma in pochi mesi non solo degli ammortizzatori, ma anche delle politiche attive.

È vero: il ministro Andrea Orlando ha ripetutamente insistito su entrambi gli obiettivi come operazioni da realizzare o da avviare nel breve periodo. Ma, a prescindere dalla buona volontà del responsabile del lavoro, abbiamo troppe evidenze dei fallimenti registrati fino a oggi su entrambi i fronti, troppe prove provate dei vincoli e dei lacci normativi che hanno ingabbiato il mercato del lavoro, troppe esperienze delle timidezze esistenti verso una sana e regolata flessibilità e delle barriere ideologiche tuttora presenti per un proficuo dispiegarsi della cooperazione e anche della competizione tra servizi pubblici per l’impiego e Agenzie per il lavoro private.

E, del resto, basta mettere in fila i nomi delle pessime pratiche di questi anni (Anpal, Decreto Dignità, navigator, Reddito di cittadinanza) per rendersi conto delle ragioni della sfiducia che possiamo avere verso la possibilità che in pochi mesi si riesca a intraprendere un percorso di cambiamento reale sia negli assetti infrastrutturali pubblici e nelle regole che presiedono alla gestione delle politiche attive sia nella disciplina delle reti di protezione.

Non vorremmo, insomma, che tutto si risolvesse, ancora una volta, in mero aumento della spesa pubblica per sussidi, personale e procedure, lasciando intatte le rigidità dei contratti flessibili e quelle del rapporto tra pubblico e privato, convinti, come siamo, che, per dirla con Marco Biagi, non c’è nessun incentivo economico che potrà mai compensare un disincentivo normativo.