"Il mio Alex poteva essere salvato". Bimbo ucciso, la rabbia del papà

La madre è in cella. Il giorno prima del delitto lei girava con un coltello in borsa, sequestrato dai carabinieri

Alex neonato in braccio al padre

Alex neonato in braccio al padre

"La madre aveva già minacciato di dargli fuoco. Alex, mio figlio, poteva e doveva essere salvato". L’urlo del padre arriva dall’Ungheria dove Norbert Juhász vive e dove aveva già presentato una denuncia per sottrazione di minore quando Erzsebet Katalin Bradacs era scappata in Italia con il piccolo. Alex era stato affidato a lui. E adesso, 72 ore dopo l’orrore di Pò Bandino il dubbio che la storia poteva essere scritta diversamente morde lo stomaco e toglie il sonno di un genitore che, per primo, ha visto su WhatsApp il volto insanguinato del figlio e uno degli otto fendenti che gli ha martoriato il collo. Un’immagine difficile da scordare, così come quella del piccolo Alex Juhasz deposto dalla madre, già morto, sul nastro trasportatore delle casse di un supermercato. Mentre oggi in carcere a Perugia la donna, cittadina ungherese di 44 anni – madre del piccolo e unica indagata per omicidio volontario aggravato – sarà interrogata dal gip Angela Avila per la convalida del fermo. Una serie di tasselli che iniziano a comporsi e restituiscono un quadro agghiacciante.

A cominciare dal controllo avvenuto a Chiusi il giorno prima dell’omicidio quando la donna – che dal carcere continua a dichiararsi innocente e che nel corso delle ore ha fornito versioni considerate non credibili dagli inquirenti – circolava con in borsa un coltello che è stato sequestrato dai carabinieri. Ma quanto accaduto in questa manciata di case tra Umbria e Toscana potrebbe essere solo l’epilogo di una battaglia per la contesa del piccolo Alex iniziata ancora prima che lui nascesse. Da una relazione di breve durata, tormentata e burrascosa tra la 44enne ballerina e Norbert Juhász, "Non ho più lacrime. Da quell’istante – dice il padre a Qn-La Nazione in uno scambio tradotto dalla giornalista ungherese Eszter Lakat –, non esiste più cura per il mio dolore". L’uomo ha capito che il peggio era ormai avvenuto quando venerdì pomeriggio ha ricevuto il tremendo messaggio "Ecco tuo figlio" inviato dal cellulare della donna. Lo stesso telefono che adesso gli investigatori coordinati dal sostituto procuratore Manuela Comodi, stanno passando al setaccio.

Ci sarebbero anche altri invii e forse telefonate con richieste di aiuto, tra i destinatari del terrificante post ci sarebbe anche György László Kalmár, membro del consiglio di amministrazione dell’ "Associazione dei Padri per la verità" che era in contatto con Katalin: "Il 21 settembre, il padre ha ricevuto un ordine provvisorio dal tribunale distrettuale centrale di Pest, secondo il quale la madre è obbligata a consegnare il bambino entro 1 giorno". Il 22, quando le autorità si recano a casa della donna, lei non c’è più, è scappata in Italia con Alex. Ed ecco delle date fondamentali per la vicenda: "Il 28 settembre – scrive oggi l’associazione in una denuncia formale dei fatti – il consolato romano segnalava agli uffici di Budapest che la madre si trovava a Roma e il padre – il 29 settembre – ha presentato una seconda denuncia…".

Tutta da chiarire a questo punto la vicenda dei mandati internazionali per le segnalazioni sull’allontanamento con i minori contesi. Perché – sostiene l’associazione – al controllo stradale di Chiusi la donna non è stata fermata per la sottrazione del minore al padre? "Tutti vedevano come non fosse assolutamente adatta a crescere un figlio – le parole del padre a Qn-La Nazione –. Sono convinto che una simile tragedia sarebbe stata evitata se le autorità ungheresi avessero agito in tempo".