Bilanciopoli Tutto il calcio è nel mirino

Giuseppe

Tassi

Al peggio non c’è mai fine nel dorato giardino del pallone. Diciassette anni fa lo scandalo di Calciopoli cancellò uno scudetto, precipitò in B la Juve di Moggi, Bettega e Giraudo, il club della doppia ‘v’: vendi e vinci. Troppe pressioni sulle alte sfere arbitrali, troppe telefonate per pilotare le designazioni. Dentro il pentolone, i peccati di altri club e di altri dirigenti. E la sgradevole sensazione di aver affondato le mani in un sistema melmoso di condizionamento degli arbitri e delle partite. Quel che succede alla Juve di oggi rischia di produrre uno scandalo di portata superiore. Le tredici richieste di rinvio a giudizio colpiscono i vertici del club e ricacciano dentro un vecchio incubo il mondo bianconero. Si temono squalifiche, penalizzazioni o l’onta di una nuova B. Perché i potenziali capi d’accusa sono pesanti e investono operazioni finanziarie mirate ad alterare i bilanci, a dilatare le cifre d’acquisto dei calciatori (155 milioni di euro di plusvalenze artificiali). Perfino l’autoriduzione degli stipendi dei giocatori bianconeri, nell’era Covid, nasconde il sospetto di un comportamento fraudolento. Per contenere il deficit, per reggere l’impatto finanziario dell’operazione Ronaldo, la Juve avrebbe fatto patti col diavolo, coinvolgendo altri club in un sistema di scambi di giocatori a prezzi alterati. Anche qui, come per Calciopoli, rischia di affiorare un sommerso capace di mettere seriamente a rischio la struttura finanziaria su cui poggia il calcio di oggi. Un ciclone che potrebbe travolgere un sistema di potere, dove gli interessi sono strettamente intrecciati.

I "ricchi scemi" del pallone sono il retaggio di un passato lontano, ma i ricchi furbi abbondano da sempre. La sensazione sgradevole dello scandalo di Bilanciopoli è che i magistrati abbiano sollevato il coperchio di un vaso di Pandora. Non conosciamo gli effetti dei veleni liberati nell’aria. Ma possiamo immaginarli.