Berlusconi gela la fronda governista. "Sono lì perché ce li ho messi io"

Brunetta aveva rilanciato le critiche ai sovranisti. La Carfagna potrebbe contare su 30 deputati e 20 senatori

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Quando legge l’intervista più che bellicosa di Renato Brunetta, Berlusconi sbotta: "Se la poteva risparmiare". Lo sfogo si allarga alla truppa dei ministri ribelli: "Se stanno al governo è per merito mio: sono stato il primo a dare il via libera all’esecutivo. Sono un moderato e guido un partito che mi rispecchia: sono l’unico a cui giovedì la Merkel in Europa ha concesso un bilaterale". La fedelissima Licia Ronzulli conferma: "Il presidente sovranista? Non c’è narrazione più falsa". Non casualmente, fonti forziste rendono noto un colloquio telefonico tra Draghi e il Cavaliere "sugli esiti del consiglio europeo".

L’irritazione del leader azzurro è comprensibile: fatto salvo lo scontro di potere tra i governisti e Tajani, è difficile rintracciare una differenza sostanziale tra la visione del fondatore e quella dei suoi ex pupilli. Del resto, anche nelle loro fila le critiche reciproche non mancano. Carfagna e Brunetta hanno difeso la Gelmini, in privato ammettono però che lo sfogo era esagerato. Gli ufficiali ribelli non risparmiano critiche allo stesso Brunetta: "Certe dichiarazioni senza uno sbocco politico a cosa servono?".

In effetti, il problema è questo: il punto di caduta possibile all’orizzonte non si vede. "Il sovranismo porta il paese a sbattere – dichiara su Repubblica il ministro della Pubblica amministrazione – Serve un’alleanza della famiglia popolare, liberale e socialista. Bisogna rivolgersi all’opinione moderata: ci vogliono partiti all’altezza di Draghi". A un’eventuale uscita da Forza Italia, però, non fa cenno. Sa che ora gli estremi per dar vita a una formazione centrista non ci sono. Illuminante è il parere del professore ed ex ministro Giuliano Urbani, che inventò FI: "C’è spazio per una forza liberale del 20% il cui leader naturale sarebbe Draghi". In effetti, se ci fosse in campo Draghi, metà del lavoro sarebbe fatta. Ma il premier avrebbe solo da perdere, un’altra figura di quel calibro non c’è e le velleità centrista sono destinate a rimanere tali. Almeno fino all’elezione del capo dello Stato, quella che si prepara dentro FI è una guerra di trincea che passa per lo scontro sulle cifre.

I governisti fanno sapere di essere moltissimi: 30 deputati, 20 senatori e, parola di Carfagna, "un malcontento diffuso" nei territori. I lealisti smentiscono: "Molti deputati che hanno firmato la richiesta di votare a scrutinio segreto il capogruppo, hanno telefonato per confermare la loro fedeltà. E al Senato grasso che cola se sono due". Di solito, la battaglia delle cifre prelude a una scissione ma in questo caso la spaccatura vera nessuno se la può permettere e, tranne gli ex forzisti di Coraggio Italia che ci sperano, la vuole.

Gli attacchi non hanno fatto piacere a Salvini, che però fa sapere d’aver sentito Gelmini e che chiamerà Brunetta (gira voce che lo abbiano cercato loro per primi) per invitarli alla prima riunione dei ministri del centrodestra. Lo scontro tra il Cavaliere e i ministri si spiega in un modo solo: Silvio intende giocare un ruolo decisivo nella politica italiana. Non può certo farlo scommettendo su un’ipotesi vaga come quella di un inesistente partito centrista. Nei fondamentali è d’accordo con Brunetta e Gelmini ma per restare al centro della scena ha bisogno di quei partiti sovranisti che Brunetta vorrebbe liquidare ma che rappresentano il 40% dell’elettorato.