"Benedetto XVI, un Papa quasi perfetto. Ma non capì la questione pedofilia"

Per lo storico del cristianesimo Alberto Melloni, Ratzinger era sul piano personale "praticamente un angelo". "Nel ’96 da cardinale soffocò lo scandalo negli Usa e inventò la categoria, sbagliata, della vergogna"

"Era un uomo mite, quasi timido, ironico, che cosa si potrebbe dire di Joseph Ratzinger? Sugli aspetti personali era praticamente un angelo". Lo storico Alberto Melloni, conoscitore come pochi della storia ecclesiastica, è tra quanti hanno conosciuto più da vicino Benedetto XVI, come teologo e prefetto prima, come Papa ed anche Papa emerito dopo.

Papa Benedetto XVI nella Biblioteca apostolica del Vaticano nel 2007
Papa Benedetto XVI nella Biblioteca apostolica del Vaticano nel 2007

Professore, allora quella di Ratzinger è un’anima candida che varca le porte del Cielo senza macchia?

"Ma certamente, la persona umana era più che nobile. Fare un bilancio del suo pontificato è quasi superfluo. È stato un Papa che ha rasentato la perfezione. Tuttavia, un aspetto, nella guida della Chiesa, glielo si può imputare".

Quale?

"In Ratzinger c’era un enorme senso di colpa, quando nel 1996 la Conferenza episcopale americana avanzò la proposta di fare delle linee guida per arginare la nascente crisi legata alla pedofilia del clero, Ratzinger, che ancora non sedeva sul soglio pontificio, intervenne a favore del cardinale Bernard Law (quello del caso Spotlight, ndr ), disse che si trattava di materia divina e che la conferenza episcopale aveva solo poteri amministrativi, ne proibì la pubblicazione".

Proprio lui che passa per essere il Papa che ha avviato la Chiesa sulla via della trasparenza e della tolleranza zero.

"C’è una maturazione, uno sviluppo. Da Papa si rese conto che da solo nessun vescovo può sconfiggere questa piaga, e allora è proprio lui quello che ha inventato la categoria della “vergogna”, mentre avrebbe dovuto comprendere che la pedofilia è più banalmente un problema di piaga sociale rispetto alla quale la Chiesa si è allineata alla morale borghese con ritardo".

Si spieghi meglio.

"La categoria della vergogna lo ha portato ad accollarsi un problema dei vescovi, non suo. Questo tema della vergogna ha scatenato un meccanismo, come si vede ora nel caso Rupnik, per cui non si è mai veramente entrati nella consapevolezza che si tratta di un delitto, atroce naturalmente, ma che commettono tutti i settori della società, e che come tale va trattato, con strumenti e poteri normativi e amministrativi per gestirlo".

Eppure per molti Benedetto sulla pedofilia era ‘avanti’.

"E invece non ha saputo precorrere la fisionomizzazione del delitto. Faccio un esempio. Il cardinal Martini diceva che la Chiesa era sempre in ritardo rispetto alla società. E invece non è vero, il più delle volte, storicamente, la sensibilità della Chiesa ha consentito di arrivare prima. Il caso principe è quello della schiavitù, riconosciuta come inaccettabile dalla Chiesa con 150 anni di anticipo".

Quali sono le conseguenze di questa miopia?

"Sull’abuso dei bambini aveva tutti gli strumenti per arrivare prima e invece ha prevalso una specie di ragion di stato per coprire il crimine e ora, come risultato, una legislazione che mette molte ombre sul futuro conclave".

Ma non ci sarà un conclave.

"Non è detto. La morte di Benedetto se da un lato consegna alla storia la sua intuizione geniale, gigantesca, quella delle dimissioni preparate a ‘bocce ferme’ e quindi del tutto legittime per il codice canonico, dall’altro consente ora finalmente a Francesco di dimettersi. Con un grosso problema, però".

Quale?

"Che Francesco è un Papa che si è fatto troppi nemici. Se si dimettesse ora sarebbe una rinuncia libera o un cedimento a cordate e schieramenti ostili".

Come se ne esce?

"Stiamo entrando in effetti in un guazzabuglio. Ci dovrà essere un conclave lento. Non si può più fare un conclave in due, tre giorni, altrimenti rischi di eleggere qualcuno che come Rupnik poi esce fuori che ha pesanti ombre nel passato".