Benedetto XVI nella storia. Il grande conservatore si rivelò un riformatore

Joseph Ratzinger, eletto papa il 19 aprile 2005 dopo la morte di Giovanni Paolo II, aveva scosso il mondo intero nel 2013 con il gesto clamoroso delle dimissioni da pontefice

Città del Vaticano, 31 dicembre 2022 - Accade spesso che la Storia ragioni per paradossi e scorra in rivoli diversi da quelli previsti, così è successo che il Grande Conservatore, scelto per continuare e conservare, abbia compiuto la più significativa rivoluzione nella storia millenaria della Chiesa.  Joseph Ratzinger, eletto papa il 19 aprile del 2005 solo per dare seguito al mastodontico pontificato di san Giovanni Paolo II, ha invece spiazzato tutti e con la rinuncia al servizio petrino ha mutato la natura del papato facendo compiere alla Chiesa un salto come nessuno dei suoi predecessori nell’epoca moderna aveva mai neppure immaginato. Perché tra tutto, tra Vatileaks, Ratisbona, la lotta alla pedofilia nel clero, i no sulla morale sessuale, la coabitazione in Vaticano con il successore, quello che di Benedetto XVI passerà alla Storia sarà proprio quanto accaduto in Vaticano la mattina dell’11 febbraio 2013, quando una schiera di cardinali attoniti ascoltarono le parole pronunciate dal Papa in un latino biascicato dall’emozione e dall’età. Davanti ai televisori quasi nessuno capì, loro invece compresero benissimo.  Era la grande svolta, si stava realizzando ciò che il codice di diritto canonico aveva previsto ma nessuno attuato negli ultimi sette secoli e che invece il finissimo teologo venuto dalla Baviera aveva avuto la lucidità e il coraggio di rendere possibile. Joseph Ratzinger è stato colui che ha scardinato molti dei criteri di giudizio usati per comprendere ciò che avviene nei Sacri Palazzi, spesso dagli uomini di Chiesa stessa, e mostrato che la categoria conservatore-progressista sia ermeneutica riduttiva, che governare significa compiere gesti profetici, che il rigore dell’analisi teologica possa trasformarsi in rigore negli atti come è avvenuto per la stretta sulla pedofilia, che la forza della ragione conferisce il coraggio dell’agire.

Papa Benedetto XVI tra i fedeli Ecco, è stato proprio il coraggio la cifra del pontificato ratzingeriano, e non solo per quanto accaduto alla fine, ma per ciò che già dall’inizio era stato dato intuire, almeno agli orecchi più attenti. Già da subito Ratzinger aveva denunciato la "sporcizia" esistente nella Chiesa, una "barca che fa acqua da tutte le parti", nelle memorabili parole pronunciate subito prima e subito dopo la morte di Giovanni Paolo II, alla Via Crucis del 25 marzo 2005, alle esequie del papa "santo subito" e nella Missa pro eligendo Romano Pontifice del 18 aprile che avrebbe preceduto solo di un giorno la sua salita al Soglio. Tre discorsi importanti, che dettero ancora di più la caratura del personaggio e fecero in modo che nessuno o quasi si sorprendesse quando alle 18.30 del 19 aprile 2005 il cardinale protodiacono Arturo Medina Estevez si affacciò al loggiato di San Pietro per dire al mondo che la Chiesa aveva un nuovo successore di Pietro, tedesco dopo 950 anni. Ratzinger divenne papa con la fama di conservatore, rigido custode delle regole in special modo su morale sessuale, bioetica, famiglia, pastorale sociale, temi nei confronti dei quali la sua Prefettura per la Congregazione della Dottrina per la fede, guidata ininterrottamente dal 1981, non aveva mai fatto concessioni. Celebre la sua opposizione alla teologia della Liberazione sudamericana, celebri i suoi no alle ipotesi di svolta su comunione ai divorziati, famiglia di fatto, contraccezione, aperture verso gli omosessuali. Temi sui quali nel corso dei suoi otto anni a San Pietro cambiamenti non ce ne sono stati.  Le sorprese sono arrivate da altri fronti e contribuirono a rendere l’immagine di un uomo che non intendeva certo restare imprigionato nell’etichetta di conservatore, ma che inseguiva una sua precisa idea di riformatore. Riforme erano opporsi ai continui insabbiamenti di scandali di pedofilia della Chiesa, non visti dal predecessore polacco come quello dei Legionari di Cristo poi da lui commissariati, riforme erano riscoprire le radici cristiane del Vecchio continente minacciate dalla continua invasione culturale prima che fisica di un islamismo trionfante, riforme erano la coraggiosa denuncia dei vizi all’interno dei Sacri Palazzi e in particolar modo della Curia, che dette origine alla impropria reazione di Vatileaks. Il capitolo finale e più amaro del suo pontificato, dal quale Benedetto seppe uscire con la coraggiosa denuncia contenuta nella dimissioni. "Non ho più le forze", disse lui, ed era vero viste le condizioni fisiche cui era ridotto nell’ultimo periodo. In realtà nel gesto della rinuncia c’era altro. La richiesta di un violento scossone, che solo l’avvento a San Pietro di un papa "dalla fine del mondo" si comprese nella sua interezza, e che in qualche modo Francesco ha attuato.  Un pontificato, quello di Benedetto XVI, che in qualche modo è andato avanti oltre la rinuncia del 2013, e che ha proiettato la propria ombra sul nuovo Pontefice forse più per volere della "vecchia" corte papale che nelle intenzioni di Ratzinger stesso. Lui, minuto, gentile, rispettoso, anche debole, ha sempre rispettato Francesco e ha sempre evitato di intromettersi nel governo del successore. "Scomparirò al mondo", aveva detto nell’atto di lasciare il Vaticano per Castel Gandolfo. Lui l’ha fatto, i suoi non sempre. Di qui i tentativi di influire su certe scelte bergogliane, che, si dice, Francesco ha subìto e non sempre gradito. Ma che si sono risolti per il grande rapporto di stima e affetto esistente tra i due

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