Benedetto e Francesco. Un’anomalia della Storia Insieme, ma così diversi

La convivenza fra i due pontefici: le frizioni sotterranee e la preghiera reciproca. Il papa emerito ha obbedito in silenzio, senza rinunciare a far sentire la sua voce

La prima preghiera pubblica insieme di Francesco e Benedetto XVI, nel 2013

La prima preghiera pubblica insieme di Francesco e Benedetto XVI, nel 2013

Città del Vaticano, 31 dicembre 2022 - È finita un’anomalia storica nella quale abbiamo vissuto per dieci anni, per di più doppia: sia perché due papi nella chiesa non sono previsti, sia perché, nei rari momenti storici in cui questa circostanza si è verificata, si trattava di nemici acerrimi. Invece di questi anni abbiamo foto di incontri sorridenti, abbracci, riconoscimenti reciproci. Le forme sono state salvate – oserei dire – e di scontri pubblici non ce ne sono stati, e mai l’uno ha alzato la voce per criticare l’altro. Ma frizioni provocate dalla grande diversità fra i due si sono verificate, e non tutte sotterraneamente.

Non potevano forse esistere, del resto, personalità più diverse da quelle di questa coppia: l’uno fine teologo, intellettuale profondo e di inclinazioni considerate tradizionali, l’altro uomo di grandi capacità mediatiche, di semplificazione e di esibite tendenze progressiste. Già questo faceva presagire at triti e burrasche. Forse da subito, cioè dalla decisione di Benedetto di rimanere in Vaticano a pochi passi dal nuovo Papa, e di non muoversi mai da lì, tranne una volta per recarsi a Castel Gandolfo, mentre Francesco era in viaggio. Ma rientrando prontamente, al ritorno del Papa: quasi a segnalare che il successore era "accompagnato". Dalle sue preghiere, certo, ma forse non solo.

Si può pregare anche da lontano, ma per i consigli e gli scambi di idee ci vuole l’incontro, e Benedetto in questo modo si dichiarava disponibile. Francesco ha risposto a questa disponibilità in un modo che – se non fosse per il suo tipico linguaggio colorito – poteva anche sembrare lievemente offensivo: "È come avere il nonno in casa". Un nonno che aveva solo dieci anni più di lui, in pieno possesso delle sue facoltà mentali e che con la sua sola presenza testimoniava una Chiesa un po’ diversa da quella che stava progettando Francesco. Benedetto ha saputo certo obbedire in silenzio al nuovo Papa, come si era ripromesso. Ma, almeno in qualche occasione, ha fatto sentire la sua voce.

Quando venne promossa l’uscita di piccoli libri di teologia che dovevano glorificare lo sguardo teologico del nuovo Papa – e che quindi si muovevano nel campo proprio di Benedetto –, affidati alcuni a teologi che si erano pronunciati molto criticamente contro Ratzinger, Benedetto si è rifiutato di scriverne positivamente e di avallare così la manovra.

Ancora più significativi sono stati due testi, scritti – come si capisce chiaramente – da Benedetto stesso: il primo, un memorandum sugli abusi del clero, inviato perché fosse letto e discusso nel convegno tenutosi nel 2019 in Vaticano. Il memorandum fu dimenticato: Benedetto decise allora di pubblicarlo su una piccola rivista tedesca. Il testo divenne così pubblico, e si vide che il tema di riflessione da lui proposto – cioè l’applicazione rigida delle regole da lui promulgate quando era prefetto del dicastero per la dottrina della fede – insisteva sulla necessità di regole rigide, che garantissero un processo equo ed eguale per tutti. Cosa che non avveniva, come ora il caso Rupnik conferma.

L’ultimo testo è di pochi mesi fa: la lettera con cui rispondeva alle accuse di avere coperto come arcivescovo di Monaco un sacerdote accusato di abusi. Dopo avere negato ogni responsabilità per questo caso, Benedetto si è detto comunque responsabile – in quanto appartenente alla più alta gerarchia della chiesa – di tutti gli abusi fatti e mai perseguiti, chiedendo scusa a nome dell’istituzione. Cosa che solo lui ha avuto il coraggio di fare.