La Bce mette fine al decennio dei tassi negativi, accontentando i ‘falchi’ con un rialzo di mezzo punto percentuale - il doppio di quanto atteso – in cambio del voto unanime sul nuovo scudo anti-spread: ma il nuovo strumento convince a metà, lasciando lo spread – in una giornata comunque segnata dai day after delle dimissioni di Draghi – a 231 punti base in chiusura. Dopo mesi di preparativi, con il pressing alle stelle dai Paesi nordici dove l’inflazione arriva al 20%, anche per l’Eurotower si mette sul solco rialzista della Federal Reserve. E Francoforte dà il via al primo rialzo dei tassi dal luglio 2011: il tasso principale sale a 0,50%, il tasso sui depositi a zero e il tasso sui prestiti marginali a 0,75%, in vista di "un’ulteriore normalizzazione" nei prossimi mesi. Parole che non fanno escludere una nuova stretta da mezzo punto l’8 settembre: una corsa repentina che ricalca quella della Fed. Perché la sequenza massiccia di rialzi negli Usa, da 75 punti base per volta, ha fatto precipitare l’eurodollaro a un soffio dalla parità, soffiando ulteriormente – Lagarde cita espressamente il problema del tasso di cambio – sul fuoco di un’inflazione in gran parte energetica. È una stretta che guarda alle "nuove stime sui rischi d’inflazione", ha spiegato la presidente della Bce riferendosi probabilmente alla rassegna delle previsioni private che la Bce pubblicherà domani, e che rischiano di evidenziare ulteriori accelerazioni. Anche se rialzi così corposi nascondono probabilmente un inconfessabile stato di necessità delle banche centrali: la crisi energetica creata dalla guerra di Putin rischia di avvicinare una recessione che sta via via restringendo la ‘finestra’ entro cui è possibile alzare i tassi. Dopo, sarà troppo tardi. Sembra certo, invece, che mezzo punto di costo di denaro in più sia valso l’assenso dei ‘falchi’ a un ...
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