Basta un banale accertamento e scatta l’avviso

Raffaele

Marmo

Le scarse tutele e la gravosità delle funzioni. La babele delle leggi e il rischio di essere chiamati a pagare per ogni firma messa o anche non apposta. Le infinite responsabilità a fronte di una remunerazione che lascia il tempo che trova.

È sacrosanto il cahier de doléances dei sindaci italiani. Ma a renderlo ancora più pesante e paradossale è quello che potremmo definire l’atteggiamento preconcetto di una larga parte della magistratura italiana, quella penale, ma anche quella contabile e amministrativa. C’è un margine di discrezionalità nella valutazione dei fatti attribuito a chi è chiamato a esercitare l’azione giurisdizionale nelle sue molteplici forma: ebbene, è certo che per una percentuale prossima al cento per cento questa leva viene utilizzata per mettere all’indice il malcapitato sindaco di turno.

È una sorta di riflesso condizionato che ha origini in quel corto circuito mediatico-giudiziario originato con Tangentopoli. Ma tant’è. Come che sia, basta una denuncia, un esposto o un banale accertamento che, a stretto giro, il magistrato fa scattare l’avviso di garanzia. E poi si vede. Solo che il poi può arrivare anche anni e anni dopo. Quando un destino politico è finito, ma, soprattutto, quando la stessa vita del primo cittadino, con quella della sua famiglia, è stata messa a dura prova.

Dunque, è sicuramente opportuno invocare cambiamenti delle regole e delle garanzie per i sindaci, ma lo è a maggiore ragione per l’approccio pregiudiziale di tanta parte della magistratura.